by Sergio Segio | 12 Settembre 2013 9:20
È politicamente accettabile che una persona che è stata condannata in via definitiva per danni gravi alla collettività non senta il dovere di dimettersi dal parlamento, tanto più se ha avuto ed ha ruoli pubblici e politici importanti?
Anche se ritiene di essere stato condannato ingiustamente, proprio perché si considera uomo di Stato e punto di riferimento politico per una parte importante dei cittadini, dimettersi pur protestando la propria innocenza sarebbe insieme un atto di dignità e di civismo che rafforzerebbe, non indebolirebbe, la sua statura politica. Rafforzerebbe anche le richieste di riforma della giustizia, togliendo l’ombra di strumentalità
ad personam.
Al contrario, il continuo ricorrere a cavilli giuridici, rafforzati dalla minaccia di far cadere il governo, per mantenere il proprio status di parlamentare in nome del proprio ruolo di importante leader politico lo indebolisce precisamente come uomo di Stato e come autentico leader. Non solo perché conferma i sospetti che abbia un’idea della politica come strumento per i propri individuali interessi, con scarsa attenzione per gli interessi collettivi, ma perché riduce l’azione politica (la “agibilità politica”) alla presenza parlamentare. Può spuntarla, ma al prezzo di un ulteriore scadimento della pratica politica e della sua percezione da parte dei cittadini.
È possibile che la legge Severino presenti tratti di incostituzionalità, non tanto per la questione della retroattività, quanto per ciò che riguarda i poteri della Giunta e quindi meriti di essere ulteriormente valutata sotto questo aspetto. Ma lo scopo condiviso da tutti i partiti (incluso il Pdl) che l’hanno a suo tempo approvata era quello di evitare che persone condannate possano sedere in parlamento come rappresentanti dei cittadini. Il cittadino, il leader politico Berlusconi che l’ha a suo tempo approvata, dovrebbe accettarne le conseguenze per sé, dimettendosi di propria iniziativa e senza richiesta di salvacondotti e garanzie per il futuro, proprio per testimoniare che riconosce il valore di quell’obiettivo. Rifiutarle come escamotage per aggirare la sentenza che lo ha condannato non gli rende onore. E chi lo sostiene in questo tentativo non gli rende un buon servizio, come uomo e come leader politico. Non rende neppure un buon servizio al proprio partito.
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