Il wrestling del talk show
Da anni non riesco, come molti italiani, a vedere per intero uno di questi incontri di lotta greco-romana verbale, chiaramente studiati per non far capire nulla.
Si riesce a sopportarne soltanto piccoli tratti. Il resto si può trovare il giorno dopo su Internet, sulla colonna di destra dei siti quotidiani, fra la nascita di un panda albino nello zoo di Tokyo e l’ultimo fidanzamento fra un calciatore e una velina. In genere si tratta di una lunga rissa a colpi di «vaffa» e insulti assortiti, spesso a sfondo sessuale, scambiati fra parlamentari e ministri, per quanto compagni di governo, o firme del giornalismo, sotto lo sguardo felice del conduttore di turno. Per quanto improbabile, è possibile che nelle tre ore di trasmissione gli illustri ospiti in studio abbiano detto anche cose intelligenti. Nel caso, comunque, YouTube non è mai interessata.
Perché si va avanti con questo livello infame di dibattito pubblico, sconosciuto nel resto del mondo civile e democratico? Perché comunque in Italia lo spettacolo piace. Non più come prima, ma abbastanza per giustificarne la replica infinita. Per quanto se ne riesce a capire, pochissimo, la faccenda funziona come un fenomeno tv di qualche tempo fa, il wrestling. Compagnie itineranti organizzano incontri di lotta truccati, in apparenza truci e sanguinari, dove alla fine però nessuno si fa male davvero e tutti sono d’accordo. I nemici che si sono scannati fino a dover ricorrere all’autoambulanza, si ritrovano la sera dopo in un’altra piazza, un altro ring, a ripetere il combattimento mortale. Ecco, la telepolitica all’italiana è la risposta del nostro paese al wrestling americano. Senza offesa, s’intende. Soprattutto per gli appassionati di wrestilng, dove negli ultimi anni si sono applicati severissimi controlli anti doping per debellare il fenomeno degli atleti drogati. Una misura che nei nostri talk show, visibilmente, non è applicata.
Al pari della finta lotta Usa, il circuito dei talk show ha fabbricato in questi anni i suoi campioni ed eroi, sodali nel business, ma in teoria divisi da epiche rivalità. Il (finto) match del secolo nel wrestling è stato quello che ha visto opposti i due leggendari guerrieri degli anni Ottanta, Hulk Hogan contro Randy Savage. È finita proprio come nell’incontro del secolo Santoro-Berlusconi: non si è fatto male nessuno ed entrambi hanno guadagnato una bella borsa.
Oggi sul ring tele politico vanno di moda altri campioni, sempre con soprannomi e atteggiamenti da guerrieri molto kitsch. Per esempio, Daniela Santanchè, detta la Pitonessa. È capace di insultare l’avversario per mezz’ora di fila, senza prendere fiato. Il bello è che la vittima torna a sfidarla la sera successiva, tanto è un gioco.
Anche nel caso del wrestling politico, la platea si divide a metà. Da una parte, i tifosi ingenui, i Mark, che prendono per vero tutto ciò che accade, le botte, gli insulti e il resto. Dall’altra vi sono gli spettatori più avveduti, gli Smart, consapevoli dell’inganno, ma divertiti dalla pagliacciata. Esiste poi una piccola minoranza che considera lo spettacolo semplicemente indecente. Ma la dignità non è più un valore e in ogni caso non ha mai fatto audience.
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