IL SOSTEGNO AL REDDITO

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Non solo è opportuno, ma necessario dal punto di vista sia dell’equità sia della efficienza del nostro sistema di protezione sociale complessivo. L’Italia è tra i pochissimi paesi dell’Unione europea in cui manca una misura, nazionale e di tipo universalistico, di sostegno al reddito per chi si trova in povertà. Le uniche eccezioni riguardano gli anziani (per i quali c’è la pensione sociale e l’integrazione al minimo) e i disabili gravi (che possono ottenere l’assegno di indennità per l’invalidità civile). Gli assegni al nucleo familiare, pur intesi a sostenere le famiglie con figli a reddito modesto, sono destinati solo ai lavoratori dipendenti. La Carta acquisti (nuova social card) è limitata ad alcuni comuni e diretta solo alle famiglie con figli. Per non parlare delle misure che configurano veri e propri trasferimenti che favoriscono i più abbienti, escludendo i più poveri: dalle detrazioni fiscali fino all’esenzione dall’Imu sulla prima casa.
L’assenza di una misura di sostegno al reddito per i poveri ha due conseguenze negative. La prima è che molte persone e famiglie povere non riescono ad avere risorse minime per una vita dignitosa e rischiano di rimanere invischiate in percorsi di progressiva perdita di opportunità e capacità. Il loro numero, tra l’altro, è molto aumentato a seguito della lunga crisi da cui non siamo ancora usciti, che ha coinvolto anche individui e famiglie che fino a pochi anni fa si ritenevano al sicuro dalla povertà e deprivazione. La seconda conseguenza negativa è che, in mancanza di un sostegno di tipo universalistico per chi è in povertà, diviene difficile, se non impossibile, riformare gli ammortizzatori sociali esistenti per ridurne l’uso improprio. Perciò la cassa integrazione straordinaria può durare anni, anche se non c’è alcuna possibilità di un ritorno al lavoro. Si può abusare dell’indennità di invalidità civile. Il limbo degli esodati può diventare un approdo ambito per chi si trova senza lavoro in età matura, visto che offre la speranza di un qualche provvedimento di tutela. E così via, nella rincorsa alle mille misure categoriali in cui si disperde quel poco di spesa sociale dedicata al contrasto alla povertà nel nostro Paese. Una situazione che non garantisce diritti certi, mentre incentiva specularmente clientelismo e abuso. Senza essere efficace sul piano del contrasto alla povertà, contribuisce a minare la cultura civica nel nostro Paese.
La proposta di introdurre una misura nazionale di sostegno alla inclusione attiva (Sia) presentata ieri ha l’ambizione, da un lato, di mettere in campo uno strumento che stimoli e valorizzi la responsabilità di tutti – dei beneficiari come degli operatori sociali, su su fino ai diversi attori e ambiti territoriali. Dall’altro, di utilizzare la messa a punto di questa misura come strumento per mettere mano ad una revisione complessiva del sistema di protezione sociale, in direzione di una maggiore equità ed efficienza, oltre che di sostegno all’occupabilità. Proprio questa prospettiva ridimensiona in parte la questione del costo. Parte dei fondi necessari per garantire una copertura non irrisoria della distanza tra la soglia di povertà individuata e il reddito disponibile di chi non la raggiunge potrebbe essere recuperata da una revisione degli istituti a sostegno del reddito esistenti, per focalizzarli meglio verso i poveri. Un gruppo di studiosi dell’Istituto di Ricerca Sociale di Milano e del Centro per l’analisi delle politiche pubbliche di Modena ha provato ad elaborare un’analisi sistematica in questa direzione. È vero che le risorse sono scarse. Proprio per questo occorre discutere delle priorità ed evitare sprechi ed ingiustizie che vanno a danno dei più poveri. Come ha detto il ministro Giovannini nel presentare la proposta, come governo e come Paese «abbiamo bisogno di fare una serie di scelte».


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