Il premier pronto alla conta in Aula: mi auguro si muovano i moderati

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ROMA — «E adesso vado in Parlamento, determinato come non mai». Enrico Letta non si arrende, dichiara guerra a Berlusconi e si prepara alla battaglia dei numeri. «Io tiro dritto, convinto che la linearità paghi. Martedì parlerò davanti alle Camere e vediamo se c’è o no la maggioranza…». Ha incassato il colpo finale del Cavaliere come un calcio a tradimento sugli stinchi, dopo un pomeriggio trascorso alle porte di Roma a giocare a pallone con i figli. Era appena tornato a casa per mettersi al lavoro sul discorso della fiducia, quando lo ha chiamato Alfano e lo ha avvertito che il governo non c’era più. Col passare delle ore la delusione bruciante, anche sul piano personale, ha innescato una reazione fredda. E, d’ora in avanti, Letta si porrà come un baluardo nei confronti di Berlusconi.
Spiazzato dalle dimissioni dei ministri, ha passato minuti di autentico furore. Ha parlato al telefono con Napolitano, che gli ha ribadito la ferma volontà di non sciogliere le Camere. Poi è partito all’attacco, in linea con il piglio più aggressivo degli ultimi giorni. «Non mi dimetto e venderò cara la pelle — si è sfogato con i collaboratori più fidati —. È incredibile che in un partito strutturato come il Pdl bastino quattro falchi, in una riunione quasi carbonara, a organizzare un golpe di questo tipo. Persino mio zio Gianni e Confalonieri sono stati tagliati fuori». Si è scagliato contro Berlusconi anche via Twitter, dandogli del «rovesciafrittata», addebitandogli il conto dello scatto Iva, spronando gli italiani a «non abboccare»… In sole due ore ha incassato duemila messaggi di consenso, un segnale incoraggiante per uno che, in caso di elezioni, è pronto a scendere in campo per riprendersi Palazzo Chigi. «Non ho piani B», andava ripetendo da settimane. Ma ora vuole giocarsi le sue carte fino in fondo: «Non vado in Parlamento per farmi votare contro». In attesa dell’incontro di oggi con Napolitano, l’ipotesi del Letta bis viene soppesata con grande cautela. A Palazzo Chigi si parla di rimpasto, con l’idea di sostituire in corsa i ministri del Pdl e prendere l’interim dell’Interno. Il passaggio del voto di fiducia, dunque, non è scontato. Di certo c’è solo che Letta pronuncerà in Aula un discorso molto duro, con il quale condannerà «l’irresponsabilità» del Pdl e strizzerà l’occhio a Sel e Scelta Civica.
Con Mario Monti, che ha tutto l’interesse di imbarcare i transfughi berlusconiani, c’è un’intesa di ferro. «Voglio guardare negli occhi tutti quelli che avranno il coraggio di togliere la fiducia all’Italia», è lo stato d’animo bellicoso di Letta. Non gli sfugge come una parte della sinistra voglia le elezioni per chiudere la stagione berlusconiana e prendersi Palazzo Chigi e anche il Cavaliere, Letta lo ha imparato sulla sua pelle, «sogna la campagna elettorale». Però al Senato le grandi manovre al centro sono iniziate e Franceschini ha già preso in mano il pallottoliere e la regia dei giochi parlamentari, col preciso obbiettivo di spaccare il Pdl. Casini e Cesa chiamano a raccolta i moderati e Beppe Fioroni, in grande sintonia con Letta, tiene i contatti con i cattolici del centrodestra. «Come si fa a tornare al voto con una legge in odore di incostituzionalità? — è l’assillo di Letta — Mi auguro che i moderati del Pd e quelli del Pdl si muovano». Il capogruppo del Pd Luigi Zanda, che conosce i tormenti dei senatori siciliani (e non solo), è convinto che siano già in cammino: «Numerosissimi parlamentari non ne possono più dei diktat di Berlusconi».
Una maggioranza scilipotiana e raccogliticcia a Letta non interessa, ma se dal Pdl si staccherà una fronda consistente, pronta a sostenere un governo di scopo che porti a termine la legge di stabilità, cambi il Porcellum e guidi il semestre europeo, il premier non si tirerà indietro. Con una punta di perfidia ha confidato agli amici «quanto abbia goduto per la figuraccia di Brunetta, che alle 17.17 si diceva ottimista», evidentemente all’oscuro del complotto dei falchi. Se la sua reazione è stata così bruciante non è perché sia attaccato alla seggiola di Palazzo Chigi, come gli ha rimproverato Renzi, ma perché gli fa male vedere andare in fumo «tanto lavoro fatto per il bene dell’Italia». Avrebbe anche reagito diversamente, se Berlusconi non gli avesse addebitato, «con una clamorosa bugia», la colpa dello scatto Iva. Ma adesso non gli resta che aspettare la reazione dei mercati e l’esito degli instant poll, commissionati per tastare il polso agli italiani e decidere le prossime mosse.
Monica Guerzoni


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