Il premier avverte: non ci sono persecuzioni

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ROMA — «Presto andrò all’attacco a tutto campo, vedrete… Sennò la fine è segnata. Una lenta agonia non serve al Paese». Non ne può più, Enrico Letta, dei «giochini» dei partiti, delle minacce esplicite e degli avvertimenti sotterranei. E poiché ha capito che nel Pdl (come nel Pd) rischiano di prevalere le pulsioni elettorali, il capo del governo alza la voce e rimarca che non resterà a Palazzo Chigi a tutti i costi. A farsi triturare giorno dopo giorno a vantaggio del Cavaliere, che ha fretta di lanciare la nuova Forza Italia, o a beneficio di Renzi, che scalpita per prendersi il Pd e andare a votare: «Non c’ho scritto Jo Condor in testa, l’ho imparato fin da bambino… Al momento opportuno giocheremo all’attacco».
L’uscita amarcord, rubata al celebre personaggio del Carosello tv, il premier l’ha studiata a tavolino. Ed è una formula che rilancia i moniti e gli avvertimenti filtrati negli ultimi giorni dagli infissi di Palazzo Chigi: «Non mi farò logorare, né chiudere in un angolo. I partiti devono scegliere, o si sta al governo o si sta fuori». Concetti che il capo dell’esecutivo non declina in astratto, ma lega al più esplosivo degli argomenti, la decadenza di Berlusconi: «In Italia lo stato di diritto funziona e l’autonomia della magistratura la vogliamo rispettare». Il videomessaggio gli è arrivato come una chiamata alle armi, da respingere con forza. «Siamo in uno stato di diritto, non ci sono persecuzioni» è la replica di Letta, per nulla disposto a tergiversare sulla Costituzione per salvare il governo.
A restare col cerino in mano, insomma, il premier non ci sta. «Si cerca di usare il governo come punching ball , tutti se le danno di santa ragione…». Ma lui non resterà in silenzio, impugnerà il patto di governo benedetto da Napolitano e denuncerà i «cortocircuiti» tra il suo impegno sulle riforme e gli opposti interessi delle forze politiche. Ma cosa ha in mente, quando dice che presto giocherà all’attacco? Il messaggio ha una doppia lettura, sulla quale per tutto il giorno i parlamentari amici (e quelli nemici) si sono esercitati. Di certo vuol dire che il capo del governo sente ora di avere diverse frecce al suo arco, dalla legge di Stabilità alla delega fiscale, dalle riforme costituzionali al finanziamento pubblico: su questi temi ha voce in capitolo e intende usarla tutta. Ma c’è anche la lettura politica, perché, come dice il lettiano Francesco Sanna, «quelle di Enrico sono carezze a doppio taglio».
L’altra metà del messaggio è rivolta tutta al Pd, che arriva all’assemblea dilaniato dalla battaglia sulle regole. «I rischi più grandi verranno dal tuo partito», lo ha messo in guardia un ministro. E anche i suoi parlamentari lo hanno avvertito: «Enrico, Renzi vuole le primarie il primo dicembre perché, se dovessero slittare, non avrebbe più i tempi tecnici per tirar giù il governo». Interpretazioni dalle quali Letta, stanco del «gossip», si tiene alla larga. Per marcare la distanza dallo scontro fra Renzi e Cuperlo ha scritto ai «cari democratici» annunciando che, per la prima volta, diserterà il parlamentino. «Non parteggerò per nessuno», è la promessa. Ma prima di tirarsi fuori chiede al futuro segretario di non terremotare il governo, ma di aiutarlo «a svolgere al meglio il suo servizio al Paese». Perché se le larghe intese andranno in pezzi «l’uscita dalla crisi sarà più lenta…».
Monica Guerzoni


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