I video-cortigiani
E DUNQUE s’è pazientemente sorbito uno dopo l’altro tutti i talk show che hanno riaperto i battenti, ovvero — in ordine di apparizione — Otto e mezzo, Quinta Colonna, Ballarò, Porta a Porta e Matrix. A quell’ora, proprio quella che Marzullo presidiava per avvertirci che «un giorno è appena finito e un nuovo giorno è appena iniziato», davvero nessuno ne può più di sentire la solita compagnia di giro — a cominciare proprio dalla Santanché — che ci ripete sempre le stesse argomentazioni, sull’ineluttabile necessità di far decadere Berlusconi «perché la legge è uguale per tutti» o sull’insopprimibile suo diritto di restare al suo posto «perché la legge Severino è incostituzionale».
D’accordo, è il fatto del giorno, il caso della settimana e forse anche l’avvenimento dell’anno, ma il non-processo a Berlusconi davanti alla giunta delle Immunità — organo di cui il telespettatore medio sconosceva finora l’esistenza — ha investito le scalette dei talk-show come un tornado caraibico, risucchiandoli tutti contemporaneamente in un triangolo delle Bermude che ha come angoli vivi l’aula della giunta, la villa di Arcore e il palazzaccio della Cassazione. E certo il sogno di tutti i conduttori sarebbe stato quello di portare in studio il Caimano ferito, ma devono purtroppo accontentarsi dei suoi portavoce in servizio permanente effettivo e dei suoi avvocati di complemento. Guidati per l’appunto dalla “pitonessa” Santanché, che una sera veste di rosa e la sera dopo passa al rosso,
ma dalla borsetta tira fuori sempre le stesse argomentazioni, aguzze e roventi ma ormai così prevedibili che le conosciamo a memoria, parabole di iperboli che arrivano tutte nello stesso punto: «Quella condanna non è valida perché quei giudici appartengono tutti a una setta segreta che vuole lo scalpo di Berlusconi».
Due talk show sulla Rai — Ballarò su RaiTre e Porta a porta su RaiUno — altri due sulle reti del Cavaliere — Quinta Colonna su Rete4 e Matrix su Canale 5 — più Otto e mezzo su La7, e fare zapping era inutile perché ci si imbatteva sempre in Berlusconi (o meglio: nel suo non-processo al Senato), con i suoi difensori d’ufficio sparpagliati qua e là, Sallusti dalla Gruber, Capezzone e Feltri da Del Debbio, Nunzia De Girolamo da Floris, Brunetta da Vespa e addirittura una coppia (Cicchitto e Santanché) a Matrix, forse per rispettare la par condicio tra falchi e colombe di Palazzo Grazioli.
Nemmeno il nuovo conduttore di Matrix — l’esordiente Luca Telese con i suoi baffetti alla Peppino — è riuscito a sottrarsi al menu di giornata, e dopo averci promesso di consegnarci a ogni puntata «un dubbio in più e una cosa che non abbiamo visto prima » è atterrato sul terreno morbido di un’intervista senza pepe a Guglielmo Epifani («Alla Cgil lo chiamavano Harrison Ford»), ha tirato fuori solo all’una di notte, sprecandolo, un servizio sulle pensioni d’oro e quando è approdato all’immancabile dibattito pro e contro Berlusconi s’è beccato persino una ramanzina dalla solita Santanché, che ovviamente lì si sente a casa sua: «Non le venga l’idea di fare a Mediaset peggio di quello che fate sulle altre reti!». Non avendo il ritmo e la grinta di Mentana, ma neppure la prontezza di riflessi di Alessio Vinci, Telese è bravo ad accendere lo scontro in studio ma purtroppo non altrettanto a dominarlo, e dunque bisogna amare la caciara per goderselo. Tranquillizzante, come al solito, Paolo Del Debbio, che con la sua aria da buon padre di famiglia ha
spiegato ai suoi telespettatori di cosa sta discutendo il Senato: «Se oggi fanno una legge che vieta di portare i baffi, possono condannarmi perché li portavo dieci anni fa?». Ci vuol poco a farsi capire, basta aggiustare un po’ la realtà.
A Ballarò, Floris è riuscito a non partire con Berlusconi intervistando in diretta Domenico Quirico, finalmente senza la Bonino, dopodiché ha scelto di evitare la rissa invitando sul casus belli due contendenti senza la bava alla bocca (Nunzia De Girolamo e Gianni Cuperlo). Illuminante, in compenso, la battuta di un Crozza in gran forma: «Se non si può condannare chi ha preso dieci milioni di voti, io che ho 300 mila “mi piace” su Facebook ho
diritto all’abbuono delle multe? ».
Chiudeva Vespa, sempre uguale a se stesso, con un Brunetta caricato a molla e disposto persino a negare che la legge Severino sia una vera legge («No, è una legge delega!»), e il candido capogruppo del Pd Roberto Speranza, senza scrivanie di ciliegio e senza plastici del luogo del delitto. Al loro posto, solo un barometro che Vespa — prudentemente — aveva messo su “pioggia”. Divisi su tutto, Brunetta e Speranza gli hanno intimato all’unisono di spostare la lancetta: «Lo metta su tempesta». E questa previsione è stata l’unica vera notizia della serata.
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