I mille rivoli dell’acqua pubblica

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Niente di più lontano dalla realtà concreta. Se un anno fa il movimento per l’acqua poteva vantare, come unico risultato concreto, l’avvenuta trasformazione a Napoli della società a totale capitale pubblico (Arin spa) in azienda speciale (Acqua Bene Comune Napoli), oggi innumerevoli processi stanno attraversando la penisola, con l’unico obiettivo di praticare concretamente la trasformazione sancita dal voto della maggioranza assoluta dei cittadini italiani. Vediamoli caso per caso.
Imperia. È un caso per molti versi esemplare, prima di tutto poiché i risultati ottenuti derivano in buona parte da una positiva e costruttiva sinergia tra i Sindaci per l’Acqua Pubblica e il locale Comitato Acqua Pubblica. Il primo passo è stato, nel luglio scorso, l’eliminazione dalla tariffa d’ambito della componente corrispondente alla remunerazione del capitale investito, in ottemperanza alla volontà espressa dai cittadini italiani in maggioranza assoluta tramite il secondo referendum del 2011. Pochi mesi dopo, Imperia ha posto mano anche al primo quesito provvedendo a bloccare ogni ipotesi di rinnovo della gestione mista in scadenza ed orientando il servizio idrico verso una gestione esclusivamente pubblica. Le aziende locali infatti sono state chiamate ad estromettere il loro socio privato e a confluire nella nuova azienda consortile affidataria del servizio idrico provinciale. La riacquisizione delle quote societarie ora in mano ai privati non potrà prescindere tra l’altro dal chiarire i pesanti dubbi di legittimità sulla cessione a suo tempo attuata delle quote stesse.
Savona. Il progetto di privatizzazione che sembrava avviato a bruciare le tappe senza trovare alcun ostacolo è stato invece sonoramente stoppato in Consiglio Provinciale: la maggioranza che appoggiava la privatizzazione è andata sotto alla prova del voto. Ora i sindaci si vanno orientando a confermare il blocco di ogni ipotesi di privatizzazione e guardano invece con crescente favore ad una soluzione esclusivamente pubblica e partecipata.
Torino. Nel luglio 2012 in Consiglio comunale è stata votata una mozione che indirizzava alla gestione pubblica e alla cancellazione dalla tariffa della remunerazione del capitale investito. A fine febbraio, le commissioni I e VI del Comune di Torino, in seduta congiunta, hanno liberato per l’aula la delibera di iniziativa popolare stilata e presentata mesi prima dal Comitato Acqua Pubblica Torino per la trasformazione di Smat in azienda speciale consortile, azienda quindi di diritto pubblico. Pochi giorni dopo, il 4 marzo, la delibera di iniziativa popolare in questione è stata approvata ufficialmente, sulla spinta della mobilitazione incessante dei cittadini e del locale Comitato Acqua Pubblica: i pochi emendamenti approvati al testo che era stato presentato introducono passaggi intermedi di valutazione e cancellano premesse politicamente scomode, ma non mutano la sostanza del provvedimento, chiarissimo e inequivocabile nella sua prospettiva, pur introducendo una specifica criticità, ossia l’avvio di una verifica sulla fattibilità della trasformazione. Una battuta di arresto si ha il 23 luglio quando il Consiglio provinciale approva quasi all’unanimità una delibera per dire che la trasformazione di Smat non s’ha da fare e viene spacciata come «blindatura» contro l’ingresso dei privati la modifica statutaria che eleva l’attuale quorum deliberativo dal 75% al 90%. Ma è uno specchietto per le allodole: una volta che Smat avrà completato l’acquisto delle azioni «dei soci che non sono tributari di alcuna competenza nella gestione del servizio idrico», queste azioni, diventando azioni proprie, perdono il diritto di voto e il quorum scende così dal 90% al 73. Viene anche prevista la riduzione al 20% degli utili da distribuire ai soci, vincolando l’80% al reivestimento in azienda. E poi è inserita una frase che allude alla gestione partecipativa: «Forme di partecipazione dei cittadini utenti e dei lavoratori ai fini dell’informazione e del coinvolgimento nelle scelte qualificanti».
Varese. Anche a Varese una fetta molto importante di sindaci del territorio ha partecipato al percorso di approfondimento sull’azienda speciale promosso da settembre 2012 dal Comitato per l’Acqua Bene Comune locale, dapprima come «uditori», poi sempre più convintamente collaborando gomito a gomito con i cittadini organizzati. I risultati non si sono fatti attendere e se già nel 2011 la Provincia si era orientata ufficialmente verso una gestione tutta pubblica del servizio idrico gestita tramite gestione in-house, poche settimane fa si è giunti alla decisione finale. Il servizio idrico sarà gestito da una srl in-house e nella discussione e votazione finale si è arrivati ad un passo dalla vittoria piena, poiché molti sindaci (circa 25 su 141, purtroppo non il sindaco del comune capoluogo) erano fermamente convinti della scelta della azienda di diritto pubblico.
Vicenza. Con la chiusura delle procedure di modifica dello statuto del comune capoluogo e la pubblicazione ufficiale è entrato in vigore a fine gennaio 2013 il nuovo statuto comunale di Vicenza che all’art. 4 (Diritto all’acqua) recita: «Il Comune di Vicenza riconosce il diritto umano all’acqua, ossia l’accesso all’acqua potabile come diritto umano, universale, indivisibile, inalienabile e lo status dell’acqua come bene comune pubblico e garantisce che la proprietà e la gestione degli impianti, della rete di acquedotto, distribuzione, fognatura e depurazione siano pubbliche e inalienabili, nel rispetto delle normative comunitarie e nazionali. Il servizio idrico integrato è un servizio pubblico locale di interesse generale che, in attuazione della Costituzione ed in armonia con i principi comunitari, deve essere effettuato da un soggetto di diritto pubblico, non tenuto alle regole del mercato e della concorrenza». Il 13 febbraio 2013 con 28 voti favorevoli e due astenuti il Consiglio Comunale di Vicenza ha approvato una delibera che da mandato alla Giunta Comunale in collaborazione con Acque Vicentine spa, il Consiglio di Bacino Bacchiglione e il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, di procedere con un percorso che miri a trasformare il gestore del servizio idrico integrato in una società di diritto pubblico, senza scopo di lucro e aperta alla partecipazione attiva dei cittadini.
Piacenza. Il percorso partecipato per verificare la fattibilità di ripubblicizzazione del servizio idrico è stato definito a inizio 2013 e l’occasione l’ha fornita la scadenza del mandato, conferito alla società mista Iren e scaduto da un intero anno. A Piacenza e provincia i sindaci sono insorti contro Iren, che negli ultimi due anni di conduzione del servizio ha più che dimezzato gli investimenti a cui era vincolata. Inoltre il passaggio all’Ato unico regionale ha creato un vuoto di competenze, peggiorato dalla quasi totale inattività di Atersir. Il percorso partecipato a cui prenderà parte anche un rappresentante del Comitato Acqua Pubblica di Piacenza è effettivamente iniziato sia a livello comunale che provinciale, rispettivamente martedì 14 e mercoledì 15 maggio. La discussione sulla ripubblicizzazione è aperta ma ci sono ancora forti resistenze da superare anche interne alla stessa Giunta piacentina la cui posizione è tuttora ondivaga tra favorevoli all’affidamento ad un’azienda speciale e chi si fa promotore della gara. Proprio per tali ragioni ad oggi il processo registra una battuta di arresto.
Reggio Emilia. Limitandoci alle fasi principali e decisive del percorso, si parte da quel 17 dicembre 2012 in cui il consiglio comunale sceglie di togliere la gestione idrica ad Iren per riorientare la gestione in senso esclusivamente pubblico; la delibera passa con il voto positivo della maggioranza e di parte della minoranza e nessun altro consigliere vota contro. Passano quattro giorni e la decisione viene solennemente ribadita dall’assemblea dei sindaci del territorio (corrispondente all’ex Ato), riconoscendo valide le critiche puntualmente espresse dal comitato acqua locale in un documento appositamente redatto ed approvando un atto di indirizzo giustamente intitolato «Una proposta che guarda alle nuove generazioni». Si passa nel giro di poche settimane, ai primi di febbraio, all’approvazione di due odg: il primo contro le multiutility e il secondo che ha preparato la modifica dello statuto comunale poi realizzata appunto l’11 febbraio. Lo statuto del Comune di Reggio Emilia ha ufficialmente recepito gli esiti referendari esprimendosi in questi termini: «Il Comune di Reggio Emilia riconosce il diritto umano all’acqua, ossia l’accesso all’acqua potabile come diritto umano, universale, indivisibile, inalienabile e lo status dell’acqua come bene comune pubblico. Garantisce che la proprietà e la gestione degli impianti, della rete di acquedotto, distribuzione, fognatura e depurazione siano pubbliche e inalienabili, nel rispetto delle normative comunitarie e nazionali. Garantisce che la gestione del servizio idrico integrato, riconosciuto come servizio pubblico locale di interesse generale, non persegua scopi di lucro e sia sottratta ai principi della libera concorrenza, mediante un soggetto a proprietà pubblica. Garantisce la gestione partecipativa del bene comune acqua, orientata a criteri di efficienza, risparmio, solidarietà, trasparenza, sostenibilità, con finalità di carattere sociale ed ecologico, salvaguardando le aspettative e i diritti delle generazioni future». Gli eventi di Reggio Emilia assumono particolare rilievo – non solo simbolico – in quanto vedono la luce in un comune capoluogo di provincia il cui sindaco è contemporaneamente presidente nazionale dell’Anci.
Forlì. Si è concordato di istituire un tavolo provinciale per l’acqua che tra Forlì e Rimini ragioni in direzione di uno scorporo di Romagna Acque dalla multiutility Hera. A tale tavolo prenderanno parte anche i comitati locali per l’acqua pubblica. Il tavolo provinciale per l’acqua ha iniziato a riunirsi ma da parte di alcune amministrazioni sono emerse proposte alternative alla ripubblicizzazione, come ad esempio la messa a gara del servizio, per cui ad oggi tale processo registra una sostanziale battuta di arresto.
Palermo. Il 4 aprile la Giunta comunale ha approvato la delibera di trasformazione di Amap spa in azienda speciale.
Sicilia. Il movimento siciliano per l’acqua nel 2010 ha depositato una legge d’iniziativa popolare per la ripubblicizzazione del servizio idrico. Il testo è stato presentato grazie alla deliberazione di 135 consigli comunali e con il sostegno di oltre 35 mila firme. A due anni esatti dal referendum che ha sancito la volontà dei siciliani di avere una gestione pubblica delle risorse idriche e dopo circa tre anni dalla presentazione della legge d’iniziativa popolare, la IV Commissione Ambiente e territorio dell’Assemblea Regionale Siciliana ha “accantonato” secondo “prassi” parlamentare il testo di legge di iniziativa popolare e consiliare, assumendo come testo base il ddl del governo. Di fatto ciò ha bloccato un percorso democratico e partecipato che per la prima volta in Sicilia aveva condotto alla presentazione e alla discussione della prima legge di iniziativa popolare e dei consigli comunali.
Pistoia. È partito nei mesi scorsi un tavolo che doveva portare alla ripublicizzazione a cui hanno aderito i sindaci di Pistoia, Prato, Vernio, Poggio a Caiano, Agliana, Quarrata e molti sindaci del Valdarno. Lo scopo era quello di muovere passi opportuni per riappropriarsi della gestione del ciclo dell’acqua per assegnarlo a un consorzio di Comuni attingenti agli stessi bacini idrici. Due mesi fa un consigliere di Sel presentò una mozione sulla bocciatura del Metodo Tariffario Transitorio proposto dall’Aeeg, mozione che dalla maggioranza di centrosinistra gli fu caldamente consigliato di ritirare, come infatti fece. Oggi, dopo la rimozione del mandato all’assessore all’Ambiente G. Lombardi che curava con molta attenzione e passione anche le questioni legate all’acqua, la riconvocazione del tavolo risulta incerta. Nonostante il sindaco asserisca che in merito all’acqua non è cambiato nulla, i fatti sembrano indicare tutt’altro indirizzo. La battaglia per la rimunicipalizzazione dell’acqua però continua come prima e più di prima, si estende infatti il numero dei cittadini sempre più informati e desiderosi di far rispettare i loro diritti.
Pescara. L’Assemblea dei sindaci della Provincia di Pescara il 16 aprile 2012 ha votato per «la trasformazione di Aca spa in house in azienda di diritto pubblico in considerazione che tale modello aziendale accresce le possibilità di controllo da parte dei soci e dei cittadini rispetto all’operato della azienda stessa e consentirebbe forme di partecipazione diretta alla gestione di lavoratori, cittadini ed associazioni di tutela ambientale». Inoltre è stato sancito l’azzeramento della quota di remunerazione del capitale dalla bolletta. La stessa assemblea dei sindaci si è anche impegnata ad avviare la Valutazione Ambientale Strategica e la Valutazione d’Incidenza Ambientale sulle opere previste. A distanza di più di un anno dall’approvazione del provvedimento il percorso di ripubblicizzazione non è stato ancora avviato.
(pagina a cura del Forum italiano dei movimenti per l’acqua)


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