I bravi maestri della sinistra
ROMA. I numeri? È presto per darli e comunque, sostiene don Luigi Ciotti, «conta quello che ognuno dei partecipanti farà dopo il 12 ottobre, come agirà da moltiplicatore dei contenuti della manifestazione». Le adesioni al corteo (da piazza della Repubblica a piazza del Popolo)? Tante, almeno un centinaio di organizzazioni anche se, a ieri, erano ufficialmente ancora 27: oltre alla Fiom, a Libertà e Giustizia, al Gruppo Abele e alla Fondazione Basso dei promotori Maurizio Landini, Sandra Bonsanti, don Ciotti e Stefano Rodotà, c’è di tutto, dai Comitati Dossetti per la Costituzione alla neonata Fondazione Teatro Valle Bene Comune. Da Sbilanciamoci all’Arci. Suscita qualche malumore il mancato sì dell’Anpi. «Ci sarebbero problemi se l’obiettivo fosse quello di creare un’altra sinistra, perché non rientrerebbe nei nostri compiti e nella nostra natura», ha fatto sapere qualche giorno fa il presidente dell’Associazione nazionale partigiani Carlo Smuraglia, subordinando una risposta positiva ai «chiarimenti» richiesti.
Dal tavolo della conferenza stampa convocata nella sede romana dell’Arci, dietro la stazione Tiburtina, lo rassicura Sandra Bonsanti: «Non vogliamo fare un altro partito politico». L’obiettivo, piuttosto, è una «grande coalizione sociale per la democrazia e i diritti», che assuma la Costituzione come punto fermo da cui ripartire e ne dia una lettura non imbalsamata ma innovativa, la consideri una «compagna di strada» (don Ciotti) attraverso la quale «trasformare questo Paese» (Landini). La premessa è che la «regressione culturale» italiana è devastante – 9 milioni di persone in stato di relativa povertà, sei milioni di analfabeti, agli ultimi posti in Europa per dispersione scolastica, per non parlare della demolizione dell’università e della ricerca, frutto dell’egemonia neoliberista del ventennio berlusconiano – e «ha investito tutti». Di converso, esiste «un’altra politica, un’altra cultura che in questi anni sono state ingabbiate», secondo Rodotà, che delinea la rotta da seguire per provare a invertire la tendenza: «Uscire dalla frammentazione, sociale e politica, e dare agli italiani quello che loro manca in questo momento, prospettiva e fiducia».
Più che una manifestazione «contro», dice Landini, sarà «per»: «Per un piano di investimenti straordinari, pubblici e privati, per difendere il lavoro e riqualificare l’industria, per chiedere più servizi sociali». E per costruire un’Europa vera, fermando la dittatura dell’economia «che mette tra parentesi i problemi del Paese» (Rodotà) e ha fatto inserire il pareggio di bilancio in Costituzione «senza discussione», un provvedimento di cui ora si pagano duramente le conseguenze.
Il «cattivo maestro» Rodotà non è spaventato dalle polemiche seguite alle sue dichiarazioni sui No Tav e le cosiddette «nuove Br», risponde alle domande e non si risparmia su nulla. Vittorio Antonini, ergastolano in semilibertà dell’associazione di detenuti del carcere di Rebibbia Papillon, gli chiede di pronunciarsi sull’amnistia sociale – c’è una campagna in proposito che ricalca una analoga lanciata in Francia dal Front de gauche, il manifesto ha ospitato numerosi articoli in proposito – e lui attacca: «Sosterrò in pieno il referendum radicale sull’abolizione dell’ergastolo e dico sì all’amnistia. Non mi faccio spaventare dall’argomento che ne potrebbe usufruire Silvio Berlusconi, sarebbe un po’ arduo inserire la frode fiscale tra i reati da amnistiare. Ma il punto vero è la riforma della giustizia: ci sono diverse proposte di riforma del sistema penale, tra cui una di Giuliano Pisapia, perché il ministro Severino non le ritira fuori?». Visto che si parla di Costituzione, Rodotà ne ha anche per i «saggi» nominati da Napolitano: «Il loro documento è di una straordinaria pochezza culturale, è modesto, compilativo. Lo stesso lavoro poteva essere svolto meglio, e con minori costi, dagli uffici studi della Camera e del Senato, oppure da un gruppo di bravi dottorandi di ricerca, assegnando loro qualche borsa di studio». Impensabile, nell’Italia di oggi, dove accade che «un ragazzo debba farsi dare i soldi dal padre per pagare il biglietto della metropolitana e poter andare a discutere della sua ricerca all’università». È la risposta che si è sentito dare il giurista, qualche giorno fa, da un suo allievo dallo sguardo triste.
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