I 23 sotto assedio Scambio di accuse e teorie del complotto

by Sergio Segio | 10 Settembre 2013 5:19

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ROMA — «Non fu così nemmeno vent’anni fa, quando là dentro c’era Giulio Andreotti…». Il funzionario dell’Archivio di Stato non sa più a chi dare i resti, sale e scende le scale, chiude e apre i cancelli e gli tocca persino rassicurare una studiosa che si informa sulle uscite di sicurezza del Palazzo, ossessionata dal terrore di «fare la fine del sorcio». Dalle due del pomeriggio e fino alle otto di sera, il cortile del Palazzo della Sapienza, che ospita la giunta delle Elezioni, è un circo di provincia. C’è la troupe tedesca e quella coreana, c’è la turista olandese e l’indiana con sari verde-oro, c’è la teutonica che sventola un girasole lungo un metro e l’archivista marxista dichiarato: barba e pipa, cappellaccio di paglia con gli occhiali posizionati sopra alla falda, indossa una t-shirt accalappia-fotografi, con cui si è presentato spavaldamente in ufficio. C’è scritto «Berlusconi facci il miracolo. Sparisci».
Berlusconi non c’è, ma il circo è tutto in suo nome. Turisti che arrivano per la cupola del Borromini e rimangono lì per ore a godersi lo spettacolo. Perché, come dice in inglese l’inviato coreano, «mister Berlusconi fa notizia in tutto il mondo». La farsa del chiodo-scaccia-chiodo comincia prima delle tre, ogni senatore che arriva si prende un pezzetto di scena, ma appena ne appare uno più famoso il predecessore deve cedere il passo davanti ai riflettori. «Annamo!». Il grido degli operatori, la ressa, gli spintoni e gli insulti dicono che è arrivato Andrea Augello. Il relatore, Pdl, si presenta zaino in spalla, gravato dal peso delle segretissime ottanta cartelle che leggerà, prendendosi 250 minuti, davanti alla giunta. Ai giornalisti che lo assaltano spiega che il suo ruolo non gli consente di proferir parola («sono obbligato alla riservatezza, non posso dire proprio nulla»), ma otto minuti dopo è ancora lì che parla. E quando decide che è ora di imboccare la porta sbaglia entrata, torna indietro e percorre a ritroso l’intero portico, tallonato da cronisti, cameramen e fotografi: «Ancora qui? Guardate che sono sempre io… Non è che c’ho un lato migliore!».
Lo spettacolo è fuori, all’ombra della vertiginosa cupola con cui il Borromini sigillò la chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, capolavoro barocco la cui pianta rappresenta il sigillo di Salomone e sintetizza il pensiero ermetico e massonico. I 23 senatori della giunta arrivano uno alla volta, come per una regia mediatica occulta e perfettamente orchestrata. Ecco il pdl Lucio Malan, di fede valdese e berlusconiana. Più biondo che mai, incappa in una troupe italiana che per tre volte, accampando problemi tecnici, gli chiede di ripetere il copione dell’entrata in scena: «Replay senatore, replay». Ma chi c’è in fondo al pozzo, inghiottita dagli operatori dell’informazione? È Stefania Pezzopane, assillata dalla ex Iena Alessandro Sortino che le fa impietosamente il verso: «È evidente, è evidente, è evidente… È evidente senatrice che siete al governo con Berlusconi…». E lei, che è piccola ma tosta: «Stare al governo con Berlusconi non significa mancare di rispetto alla legge». Non è il suo momento fortunato, per la democratica che fu presidente della Provincia de L’Aquila. Arriva un commesso: «Senatrice si deve spostare, blocca l’ingresso». Poi un tipo cha ha in odio il Pd e sfoggia tatuaggi da paura la bracca minaccioso: «Lo sa che avete un debito coi cittadini? Io sono Roberto 26854, se lo ricordi bene questo nome». E il numero, cos’è? «La mia data di nascita. Io non sono Paolini che mi metto dietro alle telecamere, io porto il Duce al braccio».
Benedetto Della Vedova, ex radicale ora in Scelta civica, strappa qualche secondo di diretta in più difendendo la legge Severino ed evocando Lusi, Belsito e Fiorito: «Senza quella riforma, che io ho votato, sarebbero candidabili pur avendo fatto le cose che hanno fatto». Perché adesso corrono tutti? C’è il grillino Vito Crimi, il quale però viene subito piantato in asso per l’arrivo del pd Felice Casson, che attaccherà duramente Augello in giunta: «Il relatore non ha adempiuto al suo dovere di presentare una relazione con proposte pro o contro la decadenza». Ma ecco che rispunta Malan. Clima di battaglia, senatore? «A sentire da certi toni di prima direi di no. Cioè sì. Ma vedremo… Io spero di no». L’aria è quella delle grandi occasioni. I commessi hanno coperto le transenne con un drappo rosso cardinale, ma devono reggerle in quattro perché non vengano giù per gli spintoni dei reporter quando arriva Dario Stefano. Presidente, come andrà a finire? Lo scopriremo solo vivendo, perché l’esponente di Sel concede appena un sorriso infastidito.
Dentro, in giunta, è muro contro muro. Chi parla di trappole e chi fiuta complotti. Nel magnifico chiostro invece si bivacca, si staziona (anche in ciabatte), si mangia il gelato, si stressano i palmari, si corre e si assiste allo spettacolo dall’alto, dal secondo ordine di archi. Si disegna, pure, come fanno alcune giovani bellezze bionde di una scuola d’arte arrivata dal Nord. Scatta un applauso. Hanno deciso? Berlusconi è decaduto? Ma no, era un tributo del gruppetto turistico per quel genio che fu il Borromini. E quella signora anziana che interroga i giornalisti? È una elettrice del Pd, vuole solo assicurarsi che il suo partito «non faccia scherzi allungando troppo il brodo». Ed è a questo punto che sul proscenio appare Pier Ferdinando Casini. Ha appuntamento per un collegamento tv, entra col suo passo lungo nel cortile e viene assaltato: «Presidente, presidente…». Lui si volta e se ne va, diretto verso l’ingresso del Senato. I giornalisti che lo pedinano vogliono sapere se cadrà il governo o decadrà Berlusconi, ma lui tira dritto senza scucire verbo e s’infila nel portone di Palazzo Madama. «Tanto era venuto solo per farsi inquadrare», commenta un reporter deluso. Che accade? Chi è finito nel «pozzo» della stampa? Questa volta l’oggetto del desiderio non è un senatore, ma la relazione «segreta» di Augello. «L’ho stampata da Internet — dice candidamente un cronista, mentre i colleghi gliela strappano di mano — non sapevo che fosse una cosa tanto preziosa». Riappare Giarrusso: «Augello legge troppo lentamente. Cercano di salvarlo assopendoci tutti?».
Ma ecco che torna in scena Enrico Buemi, il senatore che ha preso il posto di Ignazio Marino. Per lui è il secondo one-man show della giornata. Con una botta di orgoglio socialista ricorda che Craxi si dimise da segretario dopo la condanna e trova persino il tempo di parlare di quante rondelle di acciaio faceva quando era operaio. Sono le 15.18 e i lavori non sono ancora iniziati. Un commesso del Senato alza le braccia: «La convocazione era per le tre, ma siamo in Italia, no?». Sono entrati in ventidue, tranne Buemi che non si stanca di elucubrare. L’unica cosa che non dice è come voterà: «La mia incertezza continua, miei cari…». Ma alle sei della sera, quando spunta per l’ennesima volta sulla soglia e dichiara «ce la siamo guadagnata la giornata, perché prima lavoravamo un giorno a settimana!», tra gli operatori e i fotografi scoppia la rivolta. Una voce per tutte: «Mia moglie sono cinque anni che non lavora e lui, che prende 15 mila euro al mese, in tre ore si è guadagnato la giornata?».
Per Della Vedova, che l’ha vista dal di dentro, «sembrava di essere al cinema». E stanotte, si replica.
Monica Guerzoni

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