Fra attacchi al Quirinale e voci di tregua
«Spontaneamente», si è affrettato a precisare il capogruppo Renato Schifani, per troncare le voci di un ordine al quale gli eletti non potevano dire di no. È il “cesto di guerra” che Silvio Berlusconi mette davanti alla giunta del Senato che il 4 ottobre dovrà decidere la sua decadenza dopo la sentenza di condanna confermata dalla Corte di Cassazione. E al Quirinale.
La nota con la quale ieri mattina il presidente della Repubblica ha criticato l’iniziativa «improvvisa e istituzionalmente inquietante» del Pdl non è riuscita a placare un partito in mano ormai, sembrerebbe, all’ala oltranzista. A parte le parole rispettose di un paio di ministri come Maurizio Lupi e Gaetano Quagliariello nei confronti di Napolitano, l’offensiva è diventata quasi sprezzante. E questo lascia intravedere il pericolo di una crisi destinata a investire i rapporti fra Berlusconi e il capo dello Stato.
Di colpo, l’uomo che per anni è stato raffigurato come un garante imparziale e al di sopra delle parti è stato trasformato in un bersaglio. Anzi, nel bersaglio grosso di un Cavaliere che pure appena cinque mesi fa gli chiese di rimanere altri sette anni, perché il Parlamento non riusciva a eleggere nessuno; e che aveva garantito l’appoggio al governo delle larghe intese di Enrico Letta, escludendo qualunque incidenza dei propri guai giudiziari.
Invece, la china che ha preso la polemica contraddice quanto è stato detto prima. Nel Pd riprendono coraggio i settori che volevano una crisi a breve. E l’estrema sinistra usa le parole di Napolitano non per l’appello implicito alla stabilità, ma per incalzare il Pd a rompere al più presto col Pdl e con «quello lì», cioè Berlusconi. Ritenere che una situazione così compromessa possa essere recuperata, a oggi sarebbe azzardato. È necessario correggere la corsa disperata del centrodestra verso un esito disastroso; e le rigidità di un Pd che, incalzato dal Movimento 5 Stelle e dagli avversari di una coalizione anomala, non concede nulla.
Eppure, forse uno spazio residuo di mediazione potrebbe spuntare: se non altro per paura di un governo ben più ostile a Berlusconi dell’attuale. Il premier Letta si dice sicuro di poter «convincere tutti», chiedendo subito un chiarimento alle Camere. Può darsi, ma i toni fra i partiti oscillano fra accuse di «eversione» e bordate contro il Quirinale. Per fermare lo scivolamento verso un epilogo pericoloso per la tenuta dell’Italia, probabilmente occorreranno gesti forti, che mettano tutti davanti alle proprie responsabilità: sempre che siano rimaste la volontà e la lucidità per non fare male a se stessi e al Paese.
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