Fed, Borse su in Europa, non in Usa multa di 920 milioni a JP Morgan

by Sergio Segio | 20 Settembre 2013 7:39

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L’EUFORIA dei mercati è durata poco, dopo l’annuncio che la Federal Reserve deve prolungare la “flebo” della liquidità per sostenere una crescita ancora insufficiente. In Europa le Borse hanno reagito con buoni guadagni. In America invece calma piatta. Cinque anni dopo il disastro del 2008, ancora l’economia reale non riesce a “camminare sulle sue gambe”. La maxi-multa di 920 milioni di dollari alla JP Morgan Chase è un altro segnale di allarme. Anche questa sanzione riporta alle cause originarie della grande crisi. L’ombra sinistra del 2008 si allunga ancora su di noi. La più grande banca americana e mondiale è colta in fallo, per comportamenti non molto dissimili da quelli che portarono al crac sistemico.
La mossa a sorpresa di Ben Bernanke annunciata mercoledì sera, nella giornata di ieri è stata riesaminata in una luce più problematica. Nell’immediato quella decisione fa comodo a tutti: in America e nel resto del mondo. Riceve il plauso autorevole del New York Times, che in un’editoriale elogia Bernanke. Gli dà atto di avere interpretato correttamente il mandato istituzionale della banca centrale, che in America (a differenza dalla Bce) per statuto deve perseguire la piena occupazione. Ne siamo ben lontani. Non solo perché l’America ha ancora un tasso di disoccupazione del 7,5% ma anche perché i nuovi posti creati dal 2009 (fine della recessione) fino ad oggi sono in parte posti sottopagati; il potere d’acquisto della maggior parte dei lavoratori salariati è fermo, stagnante. La ripresa c’è, almeno in America, ma è fiacca proprio perché non poggia su un diffuso miglioramento del tenore di vita e delle aspettative della middle class. La stessa ragione per cui la Fed riceve applausi, sottolinea i limiti di questa ripresa. E pone un interrogativo: la politica monetaria e` davvero onnipotente, per trainarci fuori dalle secche?
Le parole con cui Bernanke ha giustificato la sua decisione — rinviando ogni taglio al programma di acquisti di bond che crea liquidità per 85 miliardi al mese — ora vengono soppesate con cura. Il presidente della Fed è rimasto visibilmente sorpreso, e preoccupato, per l’effetto-annuncio che ebbe l’altra sua dichiarazione fatta il 22 maggio scorso. Fu proprio allora che Bernanke iniziò a preparare i mercati al ridimensionamento degli acquisti di bond. Ebbene, il solo fatto di avere ventilato quattro mesi fa una riduzione della “pompa di liquidità”, ha creato da allora una serie di reazioni a catena nei comportamenti dei mercati. Anticipando gli eventi, in questi quattro mesi gli investitori hanno fatto salire già molti tassi d’interesse. Con il rialzo dei rendimenti si è determinata nei fatti una sorta di mini-stretta creditizia. Sono iniziate fughe di capitali dalle nazioni emergenti.
Ha creato problemi anche all’eurozona, che è molto più indietro dell’America sulla strada verso la ripresa. Il bilancio netto finale di quell’effetto annuncio: perfino il Pil Usa ha perso un quarto di punto, solo per le “anticipazioni” del futuro venir meno della “flebo” monetaria. Questo dà la misura di quanto il mondo intero sia diventato dipendente dalle banche centrali, quella americana soprattutto.
Ma la supplenza politica esercitata dalle banche centrali è proprio uno degli elementi di preoccupazione avanzati da Bernanke. Il presidente della Fed ha di nuovo lanciato l’allarme per l’inazione del governo di Washington. La politica monetaria è costretta a farsi carico anche di quello che non sta facendo la politica di bilancio. A Washington, la ragione sta nella paralisi tra Casa Bianca e Congresso. L’ostruzionismo repubblicano alla Camera ha bloccato quasi tutte le azioni che l’Amministrazione Obama avrebbe voluto lanciare a sostegno della crescita dal 2010 a oggi. La situazione è perfino peggiore in Europa, dove invece dell’inazione c’è una vigorosa opera di tagli di spese dettata dall’ideologia dell’austerity. Nel caso europeo la politica di bilancio ha un effetto di segno recessivo, che sottrae alla crescita.
A cinque anni dall’inizio della crisi, è forte la sensazione di essere sempre alle prese con gli stessi nodi. La crescita, anche dove esiste come negli Stati Uniti, è viziata da una diseguaglianza sociale così forte che impedisce una diffusa ripresa dei consumi. In Europa gli aiuti alle banche hanno trasferito l’onere dei debiti dal privato al pubblico. Ecco perché lo “stampar moneta” diventa un surrogato, ma anche una droga dagli effetti secondari pericolosi. Una parte della gigantesca creazione di liquidità (oltre i tremila miliardi) è andata a gonfiare nuove “bolle”, e queste spesso arricchiscono sempre quell’“un per cento” al vertice della piramide. E lassù i vizi non si perdono. Gli eccessi di Wall Street cambiano poco. La maxi-multa alla JP Morgan Chase, legata alla speculazione sui derivati che costò 6 miliardi di perdite, si riferisce a un evento del 2012, quando in teoria nuove regole e nuovi limiti entrati in vigore dovevano impedire azzardi di quel tipo. La multa è stata giustificata dalle authority americane e inglesi per “carenze colpevoli nel controllo dei rischi”, “mancanza di trasparenza”, “reticenza nel fornire informazioni” agli organi di vigilanza e ai mercati. Sembra il brutto remake di un film dell’orrore che abbiamo già visto.

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