Euro e fiscal compact, decidano i cittadini

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Apparentemente sì, ma nella sostanza no! Il problema è che, come noto, la politica fiscale e di spesa pubblica è decisa a Bruxelles e a Berlino, e quella monetaria a Francoforte, dalla Bce condizionata dalla tedesca Bundesbank. Le istituzioni italiane (e la sinistra) hanno pochissimi margini di manovra. Possono decidere dove e come tagliare, ma i tagli sono già decisi altrove. E non facciamoci illusioni. Purtroppo non stiamo uscendo dalla crisi, come afferma il governo LettaAlfano. La crisi dell’euro, e quindi dell’Unione Europea e dell’Italia, continuerà ancora, e probabilmente precipiterà. Ha ragione Le Monde Diplomatique che ha pubblicato un articolo titolato «Uscire dall’euro? Contro un’austerità perpetua». L’austerità è legata inscindibilmente all’euro. La moneta unica, così come è stabilita da Maastricht e dai trattati europei, è caratterizzata univocamente dai criteri restrittivi decisi dalla Bundesbank. Porta con sé un’austerità rovinosa e suicida in tempi di crisi. Ma l’euro così come è attualmente è insostenibile e irriformabile semplicemente perché la Bundesbank e le classi dirigenti tedesche non vogliono riformarlo modificando i trattati che lo hanno fondato. Sembra inutile suggerire alla Germania che cosa dovrebbe fare per salvare l’euro e rinvigorire l’Europa: le classi dirigenti tedesche sanno che cosa potrebbero fare per uscire dalla crisi (eurobond, nuovo potere per la Bce, svalutazione dell’euro, aumento del budget europeo, politica fiscale solidale, ecc) ma non hanno la volontà, e soprattutto l’interesse, a seguire i consigli altrui. A parte qualche possibile piccola modifica, l’austerità proseguirà e si inasprirà con il Fiscal Compact, il trattato europeo che impone per i prossimi venti anni una rapidissima e automatica riduzione delle spese pubbliche anche nei periodi di crisi, strozzando ulteriormente l’economia e il welfare. L’austerità sta comprimendo drasticamente i diritti del lavoro e dei cittadini e la sovranità nazionale, e sta rovinando la democrazia. Questa è la dura realtà, che la si voglia riconoscere o no. Spesso l’Ue è stata accusata di essere l’Europa dei banchieri e delle banche: ma questa accusa non è più vera. E’ superata dalla realtà, e in peggio. L’Unione è diretta dalla finanza tedesca e dagli altri paesi creditori del Nord Europa, come Olanda e Finlandia, che guadagnano dalla crisi europea. Il ritornello della campagna elettorale di Angela Merkel è: «L’Europa il 7% degli abitanti nel mondo, il 25% del prodotto totale, il 50% delle spese per il welfare: non possiamo più permettercelo» e quindi ogni Stato deve fare i «compiti a casa» per ridurre la spesa sociale e aumentare la produttività. In base a questa ideologia conservatrice e di centrodestra, l’Ue è diventata il ragioniere che controlla la riduzione dei bilanci sociali dei singoli stati, è il poliziotto vigile che cura lo svolgimento dei «compiti a casa» contro la volontà popolare. Dopo i diktat europei, le sanzioni ai paesi “renitenti e fannulloni” (come la Grecia) sono dietro l’angolo. Sembra anche utopistico nutrire illusioni su “fughe in avanti” verso l’unione politica federale che dovrebbe salvare anche l’euro e l’economia continentale. Merkel, e prevedibilmente i governi che usciranno dalle elezioni in Germania, non vorranno mai un’Europa federata che metta a rischio l’egemonia tedesca. Non a caso la politica europea tedesca opera soprattutto attraverso trattati intergovernativi al di fuori della Ue. Il fiscal compact è un trattato intergovernativo e il Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes), detto anche Fondo salva-stati, è stabilito da un accordo tra governi. Il vero e grave limite della politica tedesca di austerità consiste però nel fatto che è talmente rigida e controproducente da diventare insostenibile. La scienza economica non è una scienza esatta e tutte le previsioni sono azzardate. Ma è difficile che l’euro resisterà. E’ probabile che alla fine si presenterà questa alternativa: o la speculazione internazionale romperà comunque l’eurozona e provocherà il caos, o i paesi del sud dell’eurozona – come Italia, Spagna, auspicabilmente la Francia, ecc – decideranno in qualche maniera l’uscita concordata dalla moneta unica per salvare almeno parzialmente l’Unione. Le Monde Diplomatique propone realisticamente di fare un passo indietro e di passare dalla moneta unica a una “moneta comune” concordata, che permetta però valute nazionali autonome, e quindi svalutazioni competitive da parte dei paesi in deficit e rivalutazioni monetarie da parte dei paesi in abnorme surplus commerciale (come la Germania). Finora in Italia, anche a sinistra, è prevalsa una cieca subalternità all’Europa a guida tedesca in nome di un’idea romantica dell’Unione europea. Gli italiani erano tra i più entusiasti della Ue, la consideravano un passo verso la modernità e un fattore di sviluppo e di maggiore democrazia. Ma oggi non è più possibile nutrire illusioni: esiste ormai un abisso incolmabile tra le idee del Manifesto di Ventotene, gli sforzi di De Gasperi, Adenauer e Schuman per costruire una Europa unita e pacifica, e l’Ue attuale. I trattati e i vincoli europei, a partire dal trattato di Maastricht (definito «stupido» da Romano Prodi) e quello di Lisbona, delineano una Ue ultraliberista e autoritaria. Perfino Massimo D’Alema, nell’ultimo numero della rivista Italianieuropei , riconosce che l’euro sta portando alla rovina l’ideale democratico europeista, anche se poi propone come rimedio… il presidenzialismo europeo. Alfonso Gianni suggerisce giustamente che l’Italia dovrebbe minacciare di uscire dall’euro per riuscire a modificare i trattati. Il dibattito è solo all’inizio: il problema è che la sinistra alternativa dovrebbe ripensare radicalmente l’euro e riconoscere che l’Ue ha cambiato natura genetica rispetto agli ideali originari. E dovrebbe affrontare criticamente e con coraggio il problema dell’euro e della sovranità nazionale se non vuole che il populismo di destra si affermi presso le fasce popolari insofferenti di questa Europa. L’autonomia decisionale sulle politiche economiche è indispensabile per uscire dalla crisi e non è bieco nazionalismo. Occorre allora contrastare la complice subalternità dei governi italiani e del centrosinistra alle politiche tedesche. Bisogna iniziare una battaglia culturale e politica per modificare i trattati alla base di questo euro e di questa Ue. Non si tratta di essere antieuropei, anzi: si tratta di denunciare il fiscal compact e questa Europa autoritaria e neocoloniale, di prepararsi alla rottura della moneta unica, e di ritornare all’idea originaria di una Europa democratica, pacifica e cooperativa. La sinistra potrebbe proporre un referendum sulle questioni dell’euro e del fiscal compact. Una consultazione pubblica è difficile da realizzare ma sarebbe salutare. Referendum sono stati tenuti in paesi come Francia, Olanda, Danimarca, Svezia e Irlanda. Perché non avviare anche in Italia un ampio dibattito per arrivare al voto popolare sulle politiche europee che impattano drammaticamente la vita dei cittadini?


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