E il premier lavora per evitare uno strappo
VENEZIA — «Va tutto benissimo, tutto benissimo…». Non sembra un sorriso diplomatico quello che Enrico Letta sfodera al crepuscolo sull’Isola di San Giorgio, quando i giornalisti gli chiedono se il governo sopravviverà al voto cruciale sulla decadenza di Berlusconi dal Senato. «Molto soddisfatto» per la riuscita del vertice trilaterale di Venezia con i premier di Slovenia e Croazia, il presidente del Consiglio si mostra convinto che nulla di traumatico stia per accadere alla sua maggioranza. E dice di guardare alla Giunta di mercoledì «con serenità e molta fiducia», convinto persino che «prevarrà il buon senso».
La linea è sempre la stessa, continuare a lavorare «con tranquillità e determinazione» come se l’esecutivo non avesse una data di scadenza imminente: «La mia forza saranno i risultati — ragiona Letta — e il non farmi infilare nel pantano». In realtà negli ultimi giorni il premier ha cambiato toni e più ancora intende alzarli, per scongiurare uno strappo irreversibile. Se il Cavaliere deciderà di ritirare i suoi ministri mandando «tutto a carte quarantotto», è il messaggio che arriva dalla laguna veneziana, l’Italia butterà a mare tutti gli sforzi fatti sin qui per uscire dalla crisi economica. Le tasse aumenteranno, i giovani resteranno senza lavoro, il nostro Paese non rispetterà gli impegni assunti con l’Europa e, di conseguenza, la ripresa resterà una inafferrabile chimera…
Per calcare gli accenti Enrico Letta non si fa scrupolo di citare Nanni Moretti di fronte ad Alenka Bratusek (Slovenia) e Zoran Milanovic (Croazia). «Volendo possiamo farci del male, molto male — avverte il premier chiamando in causa i partiti —. Siamo un Paese che altre volte si è fatto molto del male e io continuerò a lavorare perché l’Italia non si guardi l’ombelico, ma vada avanti con determinazione».
È evidente il tentativo di mettere il Cavaliere con le spalle al muro e convincerlo che stracciando le larghe intese, per tentare magari una nuova avventura elettorale, si assumerebbe la responsabilità di un grave danno economico, non soltanto politico. Una perdita di denaro pubblico che Letta quantifica in un miliardo e mezzo di euro da qui alla fine dell’anno, solo per quel che riguarda i tassi di interesse sul debito.
E perché il monito giunga in Parlamento e a Palazzo Grazioli chiaro e forte, il capo del governo invoca l’appoggio indiretto della pubblica opinione, certo che «tutti gli italiani» abbiano ben chiaro «cosa potrebbe succedere» mandando tutto all’aria, «in termini di potere di acquisto, di aumento delle tasse, di difficoltà sui mercati finanziari…». E qui Letta cerca anche la sponda del mondo imprenditoriale, ricordando come Confindustria abbia fissato alla fine dell’anno l’inizio della ripresa. «Se così è, volendo, possiamo farci molto del male…».
Letta continua a pensare che subordinate non ce ne siano e che bisogna fare di tutto per salvare il governo in carica.«Se si apre la crisi — ragiona il premier con i fedelissimi — nessuno sa dove si va a finire, la situazione può sfuggirci di mano e io non voglio che si apra il mercato in Parlamento, dove ognuno alza il prezzo». Non resta che provare a gestire gli eventi della prossima settimana rilanciando, in asse con il Quirinale, gli appelli al buon senso e alla responsabilità. Ma poiché il peggio non è affatto scongiurato Letta prova a blindare il governo su tutti i lati, anche su quello internazionale. A metà ottobre sarà a Washington da Obama, un invito prezioso in questo momento e infatti il premier lascia trapelare l’orgoglio di averlo ricevuto «così in fretta». La novità, sul fronte interno, è che Palazzo Chigi ha cominciato a infittire vistosamente l’agenda italiana di Letta. Oggi sarà a Torino, a Milano e a Caorle, domani a Bari e a Chianciano Terme, segno che — confortato dai sondaggi — anche lui si prepara all’eventualità di un voto anticipato, uno scenario che il diretto interessato smentisce: «Non sono in campagna elettorale».
Monica Guerzoni
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