by Sergio Segio | 13 Settembre 2013 6:57
ROMA — I 250 di Lesegno (Cuneo) — billette laminate, barre a caldo e tondo per cemento armato — hanno subito organizzato un presidio davanti alla loro fabbrica chiusa. I 114 di «Taranto Energia», ieri 12 del mese, sospirato giorno di paga, non hanno trovato neppure un euro di stipendio accreditato sul conto. Assemblee permanenti e sit-in di operai s’annunciano oggi in tutti gli stabilimenti dove il Gruppo Riva ha deciso lo stop immediato delle attività, con la sospensione dal lavoro per 1.402 dipendenti. L’acciaio si fa di nuovo incandescente. Il ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, ieri sera ha convocato al Mise una riunione urgente: a partire da questa mattina — secondo Rocco Palombella, della Uilm — per tutti i lavoratori coinvolti dovrebbe essere assicurata la cassa integrazione.
Il braccio di ferro tra la famiglia Riva e i giudici di Taranto produce dunque nuove tensioni e ora riverbera i suoi effetti velenosi anche nel Nord del Paese. Sono sette gli stabilimenti interessati dal fermo a sorpresa di ieri: Verona, Caronno Pertusella (Varese), Lesegno (Cuneo), Malegno, Sellero e Cerveno (Brescia) e Annone Brianza (Lecco), più due società di servizi e trasporti. Il governatore della Lombardia, Roberto Maroni, ha già chiesto un incontro urgente con l’azienda e il governo. Il sindaco di Verona, Flavio Tosi, accusa i giudici di Taranto: «In un momento di gravissima crisi economica, che un provvedimento di un magistrato arrivi a costringere alla chiusura un’azienda di tali dimensioni, dà l’idea di un Paese ridicolo».
Dopo gli ulteriori sequestri della scorsa settimana (per 916 milioni di euro, tra beni mobili e immobili, titoli bancari e azioni) operati dalla Guardia di finanza su ordine del Gip Stefania Todisco, il Gruppo Riva ha reagito duramente: «Il blocco dell’attività — ha spiegato in una nota — si è reso purtroppo necessario poiché il provvedimento di sequestro preventivo penale del Gip di Taranto, in base al quale vengono sottratti a Riva Acciaio i cespiti aziendali, tra cui gli stabilimenti produttivi e i saldi attivi di conto corrente, fa sì che non esistano più le condizioni operative ed economiche per la prosecuzione». Nel maggio scorso i magistrati tarantini ordinarono un maxisequestro preventivo dei beni della famiglia (per un totale di 8,1 miliardi di euro) allo scopo di finanziare il risanamento del disastro ambientale di Taranto, di cui i Riva sono accusati formalmente. Finora, con l’ultima operazione risalente a martedì scorso, il Gruppo si è visto sequestrare conti, proprietà e azioni (compresa la partecipazione in Alitalia) per 2,2 miliardi di euro. Ma ieri ha deciso di passare al contrattacco, con il conforto del presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, che ha parlato di «accanimento giudiziario senza precedenti».
«Sarebbe un colpo drammatico perdere altri 1.500 posti di lavoro in Italia», il commento amaro del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. L’auspicio allora è che «in un clima meno esasperato sia possibile trovare una soluzione che garantisca l’occupazione e l’attività industriale». «Un fatto grave, il governo intervenga per richiamare l’azienda a un comportamento più attento», la reazione a caldo del segretario del Pd, Guglielmo Epifani. Il governo, lo ricordiamo, ha già commissariato con un decreto l’Ilva di Taranto (12 mila addetti), togliendola alla famiglia Riva e affidandone la gestione per un periodo compreso tra uno e tre anni ad Enrico Bondi. Ma il segretario nazionale della Fiom Cgil, Maurizio Landini, chiede ora il commissariamento di tutte le società controllate dal Gruppo: «La scelta di Riva di mettere in libertà più di 1.400 lavoratori e di non pagare loro gli stipendi è un atto di drammatizzazione inaccettabile, perché scarica sui dipendenti responsabilità non loro».
Fabrizio Caccia
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