Decadenza, primo no al Cavaliere I senatori del Pdl lasciano l’aula
ROMA — Dopo il videomessaggio con cui il Cavaliere ha anestetizzato e derubricato la questione della sua decadenza, i senatori del Pdl non potevano rimanere a guardare. E a subire il muro eretto da Pd, M5S e Scelta civica. Così, ieri sera, quando la Giunta per le immunità e le elezioni ha compiuto con un voto a maggioranza (15 a 1) il primo passo sulla strada dell’espulsione dal Parlamento del condannato Silvio Berlusconi (4 anni per frode fiscale), la pattuglia Pdl, Lega, Gal ha abbandonato l’aula di Sant’Ivo alla Sapienza in segno di protesta e si è riversata davanti alle telecamere assiepate sotto il colonnato. Un gesto simbolico e mediatico, quello del centrodestra, che però non ha cambiato un esito ampiamente prevedibile. Quindici favorevoli alla decadenza di Berlusconi, otto contrari che però non hanno nemmeno espresso il loro voto se si esclude il relatore Andrea Augello.
In questa prima fase la giunta ha votato, appunto, sulla relazione di Augello (Pdl) che proponeva la convalida dell’elezione di Berlusconi e contestualmente il rinvio alla Consulta o alla Corte di giustizia della Ue della legge Monti-Cancellieri-Severino. Ma la tesi della non retroattività della legge Severino (decadenza e ineleggibilità per sei anni per i condannati a pene superiori ai due anni) non ha infranto il muro eretto da Pd, M5S e Scelta civica che hanno messo in minoranza Pdl, Lega e Gal.
Prima della seduta, mentre sfilavano davanti a un imponente apparato di sicurezza, i commissari del Pdl hanno detto che senza ascolto delle ragioni della difesa di Berlusconi non avrebbero partecipato al voto finale sulla proposta Augello. L’escamotage del Pdl è stato quello di far mettere in votazione per parti separate le due questioni preliminari riguardanti il ricorso alla Consulta e alla Corte di Giustizia della Ue. Poi, una volta visto l’esito negativo del voto per alzata di mano sulle pregiudiziali (14 a 9), il gruppo di senatori fedeli al Cavaliere ha consumato il suo Aventino abbandonando l’aula come segnale di protesta. «Non ci tange, il numero legale c’è anche se loro escono», è stata la reazione a caldo di Felice Casson (Pd).
Il relatore Augello, nella sua replica, aveva detto: «Ci sono molte circostanze che lasciano ben pochi dubbi sull’esistenza di una prevalenza politica di questo giudizio rispetto alle questioni tecnico-giuridiche». La risposta è arrivata dal capogruppo del Pd Giuseppe Cucca che nella sua dichiarazione di voto ha comunque dato atto «del grande lavoro svolto con competenza e pacatezza» dal collega del Pdl: «Eravamo chiamati a dare applicazione, per la prima volta in ambito parlamentare, al dettato dell’articolo 3 della cosiddetta legge Severino… e siamo certi di aver risolto in maniera corretta le varie questioni proposte… La legge Severino fa discendere immediatamente e inconfutabilmente l’effetto della incandidabilità sopravvenuta». Dunque, ha concluso il capogruppo del Pd, la tesi della non retroattività della norma va respinta così come, di conseguenza, ogni ragionamento sulla sua incostituzionalità. Enrico Buemi (socialista eletto nelle liste del Pd), ha votato a favore delle «pregiudiziali» ma contro la proposta Augello perché, ha detto, «le sentenze vanno sempre rispettate». «Bravo Buemi, è l’unico che ha cambiato idea», ha commentato Augello.
Il Pdl ha l’amaro in bocca perché, attacca Elisabetta Casellati, «si è trattato di un voto politico, di una ghigliottina». Ora scatta la procedura di contestazione dell’elezione di Berlusconi. Il nuovo relatore, il presidente Dario Stefano (Sel), darà un preavviso di 10 giorni al Cavaliere che i primi di ottobre potrà difendersi con l’avvocato davanti alla Giunta in udienza pubblica. Poi, forse già a metà ottobre, toccherà all’aula del Senato dire l’ultima parola sulla decadenza di Berlusconi. In aula, però, il Senato si esprime col voto segreto.
Dino Martirano
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