Corsia preferenziale per l’Ucraina nella Ue Con l’occhio a Mosca
BRUXELLES — La foto dice già qualcosa: Viktor Yanukovich, presidente ucraino, sorridente fra Barack e Michelle Obama, in mezzo a grandi mazzi di fiori bianchi, a New York. Qualcos’altro lo dicono invece certe voci che arrivano da qui: il 21 ottobre, in coincidenza con la riunione in Lussemburgo dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea, da Kiev potrebbe arrivare l’annuncio che Yulia Timoshenko, ex premier, malata e imprigionata dal 2011, potrà lasciare presto il carcere ed essere portata in un ospedale all’estero, molto probabilmente in Germania.
Sono soltanto voci, appunto. Ma questa, la libertà di Yulia Timoshenko che per l’Occidente è una prigioniera politica, è la condizione centrale che l’Europa dei 28 pone a Kiev, per facilitare il suo cammino verso l’adesione alla Ue; che la Russia lo voglia, o no. Le altre richieste, ma anche le offerte che la Ue fa all’Ucraina, trovano risposte una dopo l’altra, con un processo sempre più veloce che potrebbe già stare in un libro di storia. Prima di tutto, l’Unione europea ha deciso di accelerare le procedure per l’accordo di libero scambio con l’Ucraina, che verrà firmato a novembre, ed è il primo passo verso l’adesione politica. «Vogliamo essere un ponte affidabile fra la Ue e la Russia», ha spiegato Yanukovich. «Resteremo amici ma potreste perdere dei privilegi», ha ammonito da Mosca il premier russo Dmitri Medvedev. Traduzione: o con noi o con loro, alzeremo barriere commerciali, pagherete i dazi, non potrete più stare — con Russia, Kazakistan e Bielorussia — nell’Unione doganale che noi guidiamo.
Il presidente Vladimir Putin ha poi aggiunto il suo carico, ribadendo il concetto: o con noi o con loro. «Siamo abituati a sopportare questi colpi e non temiamo nulla», ha risposto il ministro ucraino degli Esteri Mykola Azarov. Il divario non potrebbe essere più ampio, perché dai tempi degli zar la Russia considera l’Ucraina come il proprio granaio oltre che la propria grande miniera di carbone. Mentre l’Ucraina ritiene che solo l’Europa moderna possa garantirle quelle libertà che sono il cuore del commercio: a cominciare dai fabbisogni energetici, che possono incidere sull’autonomia economica e anche politica di ogni Paese. Ecco così, e per l’ennesima volta, che Kiev cerca di svincolarsi del tutto dal monopolio di Gazprom, cioè di Vladimir Putin, stringendo alleanze con l’altra metà del mondo: proprio a New York, in questi giorni, Yanukovich ha firmato accordi con i presidenti della Shell e della Chevron, per l’esplorazione e lo sfruttamento di un giacimento di gas naturale nel Mar Nero. E lo ha fatto in una pausa fra il discorso all’assemblea dell’Onu, e la riunione con il «Gruppo degli amici dell’Ucraina», che raccoglie quasi tutti i presidenti dell’Est Europa. Il disgelo galoppa.
E così forse dev’essere, anche perché, nel suo nuovo cammino, Kiev si lascia dietro memorie terribili: «Sembra che in alcune parti dell’Ucraina il potere sovietico non esista più — scrisse un giorno Stalin ai suoi luogotenenti — perciò controllate e prendete misure». Ordine eseguito: nel 1932-33 l’«holomodor», la «grande fame causata dall’uomo» (ma forse sarebbe meglio dire: da un uomo), si portò via circa 9 milioni di abitanti. Nell’estate 1932, Fred Beal, un operaio comunista americano, entrò in un villaggio vicino a Kharkov: nelle case e nelle strade vide i corpi di tutti gli abitanti, morti da giorni, rosi dai topi. Sul corpo di una donna trovò un biglietto: «Figlio mio, non ho potuto aspettare. Che Dio sia con te». Forse, quelle ombre sono ancora in giro per l’Europa.
Luigi Offeddu
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