Cannabis italica, il re cambia discorso
Questa e altre vicende – come le sempre più vaste piantagioni delle cosche calabresi che alimentano il mercato della cannabis di strada – pongono con forza crescente il problema della legalizzazione controllata, con soluzioni praticabili bene illustrate nel volume della fondazione britannica Transform, «Dopo la guerra alla droga, un piano per la regolamentazione legale delle droghe» ( traduzione italiana per Ediesse del 2011).
Infatti, come si è detto e ridetto in questa rubrica, a parte gli abusi sconsiderati e le limitazioni ovvie (per es., non guidare dopo aver fumato), a ogni lancio terroristico sulla cannabis sono corrisposte autorevoli smentite, come quelle dello psichiatra David Nutt (pertanto espulso dall’organo consultivo per le droghe del governo britannico) e del neuropsicofarmacologo Leslie Iversen dell’università di Oxford (l’autore di «The Science of Marijuana», 2007, seconda edizione). Riguardo agli usi terapeutici, in molti paesi e stati degli Usa sono ormai disponibili vari derivati della cannabis, con varie indicazioni più o meno ufficialmente riconosciute. E da più parti si leva la richiesta di riconoscere anche l’uso terapeutico della cannabis fumata: per il suo basso costo, per l’integrità del «cocktail» di principi attivi, perché consente l’auto-taratura da parte dei soggetti della dose assunta, sino al raggiungimento di quella sufficiente per attenuare la sofferenza (dolore neuropatico, spasmi muscolari, malesseri da terapie oncologiche, etc). Tale autogestione si è sempre più estesa per esempio nell’impiego di oppiacei come analgesici: infatti essa massimizza l’efficacia e minimizza il rischio di effetti indesiderati (tolleranza, dipendenza e altro).
Ma in Italia no e poi ancora no: dopo il decreto Balduzzi, che ha inserito la cannabis nella Tabella 2 delle sostanze ammesse agli usi medici, si è registrato il (costoso) Sativex: ma con l’unica indicazione degli spasmi muscolari nella sclerosi multipla, purchè non controllabili con altre terapie; e con tali e tanti controlli e restrizioni (schedatura compresa) da rendere l’accesso assai arduo, e inoltre assai rischiosa per medici e pazienti la prescrizione off label (cioè fuori dalle indicazioni ufficiali, una prassi lecita e assai diffusa per molti farmaci e dispositivi medici).
Intanto le novità non mancano. Nel Regno Unito, studi recenti (Int. J. Drug Policy, 15.07.13, doi: 10.1016/j.drugpo 2013.05.016) mostrano che la frequenza dei ricoveri per crisi psicotiche da cannabis (in genere da overdose) è stata più bassa nel periodo in cui la sostanza era stata inserita nella tabella C, tra le sostanze meno pericolose, soggetta a minore penalizzazione; rispetto al successivo periodo in cui è stata riclassificata in tabella B, con più severe punizioni per i consumatori. Si dimostra cioè che la proibizione meno severa, mentre non fa crescere il numero totale dei consumatori, riduce i casi di abuso. Altri lavori, per i cui dettagli manca lo spazio, suggeriscono che la cannabis attenui vari deficit (cognitivi e altri) in soggetti psicotici, bambini e adolescenti compresi. Insomma, l’italica guerra alla cannabis sta proprio diventando una brutta favola, come il Cavallo di bronzo di Capuana: «Ma quello (il re) cambiava discorso: da quell’orecchio non ci sentiva».
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