Camusso: democrazia economica, ora applicare l’articolo 46

by Sergio Segio | 25 Settembre 2013 6:14

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Negli ultimi giorni la contraddizione si è fatta ancora più stridente. Da un lato il Governo ha varato “Destinazione Italia” per attrarre investimenti esteri, sostenendo l’idea che questo Paese ha molti asset su cui fare affidamento per rilanciare crescita e occupazione; dall’altro assistiamo a cessioni verso l’estero — che non sono investimenti — delle poche grandi aziende nazionali rimaste. D al trasporto aereo all’industria manifatturiera, dal sistema bancario all’editoria, per citarne alcuni, le grandi aziende del nostro Paese sono messe sul mercato al migliore offerente, senza alcuna idea di politica industriale, di integrazione, di possibile crescita e degli effetti sul sistema produttivo e sull’occupazione.
Caso eclatante è quello di Telecom. È la prima volta che un asset strategico per il futuro del Paese è acquisito da un’impresa straniera senza che ci sia stata una preventiva discussione pubblica sulle sue ricadute e senza che il governo attivasse la golden share. In assenza di un deciso cambio di passo quanto avvenuto è destinato a ripetersi nelle prossime settimane con altri gioielli della nostra industria.
Non è mia intenzione sollevare scudi di nuovo protezionismo per difendere un’italianità di maniera. Nell’Unione Europea e nel mercato globale sarebbe inutile e antistorico. Ma il Paese deve interrogarsi. Quale sviluppo è possibile senza una rete e un’azienda di telecomunicazioni capace di guidare l’agenda digitale? Come immaginare una politica dei trasporti senza poter contare su una capacità produttiva di riferimento? Quale il ruolo di un sistema bancario che pur assorbendo risorse pubbliche per sé si nega ai processi di ricapitalizzazione delle imprese e disdetta i contratti? Sono solo alcuni esempi di cosa potrà accadere nel prossimo futuro e dell’impossibilità di determinare una ripresa in assenza di quegli asset strategici e delle grandi imprese industriali. Per non parlare poi della perdita di occupazione, competenze, professionalità.
Aggiungo che, se si vogliono davvero attrarre investitori che scommettano sul nostro Paese, tocca prima di tutto al Governo dare prova di credere a questo futuro. La svendita diffonde l’idea dei saldi di fine gestione e non che l’Italia abbia le capacità di superare la crisi e avviare le trasformazioni necessarie a restare una potenza industriale.
Dobbiamo constatare che dopo le cosiddette liberalizzazioni degli anni 90, in cui importanti asset pubblici furono “regalati” a manager senza capitali, più che a investitori italiani, si sta aprendo la stagione in cui ciò che è rimasto di quella fallimentare operazione viene ceduto in saldo al primo offerente.
È il rischio di Telecom, può diventarlo per Alitalia se le grandi imprese nazionali che operano nel settore non sentono più la “responsabilità sociale” di partecipare al futuro del Paese. In questi anni alle aziende partecipate è mancata una guida politica capace di indicare al sistema industriale pubblico le priorità e le scelte da compiere. Un’assenza non casuale ma teorizzata e perseguita da chi ha continuato a negare il valore dell’intervento pubblico e della sua capacità di regolazione. I nodi sono venuti al pettine. Ora il governo deve tornare ad assumere il ruolo che gli compete e a cui non può abdicare per esigenze di bilancio: definire gli indirizzi strategici delle reti e dell’industria, i processi di innovazione, le scelte di integrazione con altri partner, diano slancio e mercato alle nostre tecnologie difendano e accrescano l’occupazione e le professionalità.
Il sindacato, unitariamente, è pronto al confronto, come ha già dimostrato avanzando la proposta di istituire una cabina di regia per definire l’orizzonte di certezze senza il quale anche “Destinazione Italia” attrarrebbe solo capitali speculativi.
La discontinuità è indispensabile al punto che si potrebbe cominciare a riconoscere, a partire dalle aziende pubbliche, l’articolo 46 (ndr. democrazia economica) della Costituzione .
Susanna Camusso, Segretario generale Cgil

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