Buone riforme e manipolazioni

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Che diventa addirittura distorcente quando si parla della Costituzione. Difendere principi e diritti in essa affermati, impedire manomissioni di suoi aspetti essenziali, significa certamente voler «conservare» qualcosa. Che cosa, però? Esattamente quello che costituisce il fondamento stesso della nostra democrazia repubblicana. Nel 1998 la Corte costituzionale ha stabilito che i principi supremi dell’ordinamento costituzionale non possono «essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali». Una sorta di conservatorismo «obbligato», dunque. In questa direzione, la difesa intransigente della Costituzione non è conservatorismo, ma resistenza necessaria.
Chiarito questo punto essenziale, bisogna considerare un altro tipo di critica, emersa proprio nelle ultime giornate. Si dice, infatti, che l’opposizione al disegno di legge che impone modalità di revisione costituzionale diverse da quelle fissate dall’articolo 138, finisce con l’impedire l’attuazione di riforme necessarie e largamente condivise, quali sono quelle riguardanti la riduzione del numero dei parlamentari e l’abbandono del bicameralismo perfetto. Così ragionando, tuttavia, si sfugge in primo luogo alle argomentate osservazioni dei molti studiosi che hanno messo in evidenza come il ricorso a quella procedura eccezionale, ennesima variazione della pericolosa logica dell’emergenza, sia essa stessa in contrasto con la ragione profonda dell’articolo 138, norma di salvaguardia, garanzia contro le strumentali manomissioni della Costituzione.
È bene sapere, inoltre, che l’opposizione all’attuale pretesa di revisione costituzionale è stata accompagnata dal riconoscimento che, in casi specifici e ben individuati, una «buona manutenzione» di alcune norme della Costituzione sia necessaria. E tra le norme indicate compaiono appunto quelle riguardanti i due casi prima ricordati. Ma questa buona manutenzione può essere effettuata senza stravolgere l’assetto costituzionale in materia di revisione. Già molte volte, e di nuovo in occasione della nascita del governo Letta, si era suggerito di ricorrere a due disegni di legge, sì che Senato e Camera avrebbero potuto lavorare contemporaneamente su riduzione dei parlamentari e bicameralismo perfetto, nei tempi rapidi consentiti dal largo consenso già esistente su quelle riforme e senza bisogno di alterare la procedura di revisione costituzionale. Se fosse stata seguita questa strada, oggi saremmo alla vigilia della seconda lettura di quei disegni di legge, dunque al concreto approdo ad una importante e non traumatica revisione della Costituzione. Non è vero, quindi, che i critici dell’attuale pasticcio costituzionale fossero ignari di questi problemi, dei quali, al contrario, hanno proposto una più rapida e accettabile soluzione.
Perché questo non è avvenuto? Provo ad indicare due possibili ragioni. La prima riguarda una piccola astuzia: mettendo al traino di due riforme condivise altre ipotesi di riforma, assai controverse e persino pericolose, si sarebbe occultata la realtà vera della riforma complessiva, la sua vocazione accentratrice e riduttiva degli equilibri democratici. La seconda è stata rivelata da dichiarazioni di massimi rappresentanti del governo, ed è persino più inquietante. Poiché sono grandi le resistenze parlamentari e burocratiche ad una vera riforma del Senato, l’unico modo per raggiungere l’obiettivo era quello di imporre una procedura costrittiva, grazie alla quale sarebbe stato possibile domare quelle resistenze. Una difficoltà tutta politica, quindi, non viene affrontata attraverso la logica della politica, mettendo a nudo quali siano gli interessi reali che si oppongono alla buona manutenzione. Viene trasferita nel sistema istituzionale, pagando il prezzo di una sua manomissione. Così l’uso strumentale della Costituzione emerge nettamente. E la vera contrapposizione non è quella, fittizia e ingannevole, tra conservatori e innovatori, ma tra chi vuole la buona riforma costituzionale e chi ne persegue la manipolazione.
Al di là di queste ultime considerazioni, mi sembra necessario ricordare alcune questioni più generali. Pd e Pdl, le due forze costitutive dell’attuale maggioranza, sono in questo momento profondamente e platealmente divise proprio dal modo di guardare alla Costituzione, a partire dal tema fondamentale dell’eguaglianza davanti alla legge. Come si può ragionevolmente ritenere che la riforma costituzionale annunciata possa avvenire in condizioni diverse da quelle, miserevoli, che caratterizzano oggi la discussione pubblica su questi temi? E, seconda questione, è davvero possibile invocare l’urgenza di approvare alla Camera in prima lettura il disegno di legge sulla riforma perché così vuole un «cronoprogramma» del governo che non ha più alcuna relazione con la realtà dei fatti? Non perdiamo altro tempo e, invece, lavoriamo insieme per una vera politica costituzionale.


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