Berlino presa nella sua trappola

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Chiusa la parentesi delle elezioni, il governo tedesco dovrà affrontare due grandi questioni. Il nuovo piano di salvataggio della Grecia non dovrebbe presentare grandi difficoltà. In compenso, coincidenza del calendario europeo, la Grecia assumerà la presidenza dell’Unione durante il primo semestre 2014 e festeggerà il 24 luglio i 40 anni della fine della dittatura dei colonnelli.

Anche se la Grecia non ha la credibilità necessaria per portare avanti un progetto economico per l’Unione, la sua presidenza avrà di certo un carattere politico. Atene ospiterà un vertice Unione europea-Balcani occidentali, chiamato “Salonicco II”. L’obiettivo è adottare una dichiarazione politica che definirà una scadenza, “ambiziosa ma realistica”, per il completamento del processo di adesione all’Unione dei paesi dei Balcani occidentali.

L’interesse per la Grecia è ovviamente regionale: anche se unita al continente europeo, Atene ha delle frontiere terrestri con l’Unione solo attraverso la Bulgaria e rimane isolata a sud-est. L’integrazione dei Balcani permetterebbe di riequilibrare l’Europa e di stabilizzare la transizione democratica di questi paesi. Il problema è che la Germania non potrà tergiversare, il suo governo dovrà spiegare alla popolazione la necessità, nonostante i rischi economici, di confermare questo calendario di allargamento dell’Ue.

La seconda questione è invece più immediata. Dopo l’introduzione del six pack (le sei regole di rafforzamento del patto di stabilità europeo) alla fine del 2011, altri numeri oltre al famoso 3 per cento del prodotto interno lordo (pil) di deficit pubblico, al 60 per cento di indebitamento pubblico del trattato di Maastricht e allo 0,5 per cento del deficit strutturale del patto di bilancio sono alla base di una gestione tecnocratica dell’Unione, in particolare della zona euro.

Ormai ogni autunno la Commissione fa una diagnosi sugli squilibri macroeconomici dei paesi dell’Unione, a partire da una serie di undici indicatori. Per ognuno di essi è stabilito un margine minino e massimo, e se l’indicatore è fuori da questa fascia si constata uno squilibrio. In realtà queste fasce di oscillazione, così come i criteri di Maastricht, non corrispondono ad alcuna solida considerazione economica.

Questo primo esame permette di determinare quali sono i paesi in squilibrio. Il moltiplicarsi o il peggioramento di questi squilibri possono in un secondo tempo provocare un “esame approfondito”.

Nel novembre 2012 tredici paesi dell’Unione, fra cui la Francia e il Regno Unito, sono stati dichiarati in squilibrio

Nel novembre 2012 tredici paesi dell’Unione, fra cui la Francia e il Regno Unito, sono stati dichiarati in squilibrio. Ma in occasione del rapporto di primavera, durante quello che viene definito il “semestre europeo”, gli squilibri di questi due paesi non sono stati giudicati “eccessivi”, al contrario di quello della Spagna. Con nostra grande fortuna, visto che un paese in squilibrio “eccessivo” deve adottare le misure correttrici proposte dalla Commissione europea.

Dopo due risultati negativi consecutivi, il paese può subire una pesante sanzione finanziaria, corrispondente allo 0,1 per cento del pil. In ogni modo i paesi con degli squilibri non eccessivi sono comunque caldamente invitati a seguire le raccomandazioni della Commissione.

La Germania non è stata dichiarata in squilibrio, ma vi è sfuggita di poco. Infatti uno dei criteri è il saldo del conti correnti esteri: il paese, su una media mobile di tre anni, non deve avere un deficit superiore al 4 per cento del pil e inoltre non deve avere delle eccedenze superiori al 6 per cento.

Calcoli miracolosi

Questo secondo valore è di fatto una concessione della Germania, forte esportatrice. Angela Merkel ritiene che le drastiche condizioni imposte ai paesi periferici dell’Europa manterranno il saldo tedesco sotto il 6 per cento del pil. In questo modo la Germania non può essere accusata di essere troppo competitiva, al punto di destabilizzare l’Unione, mentre sarebbero gli altri a essere ritenuti come non abbastanza competitivi. Questo discorso è simile a quello adottato dalla Commissione dall’inizio della crisi.

Ma il problema è che la Germania esporta di più. Di conseguenza è stata presa la decisione di “accomodare” le cifre provvisorie trasmesse a Eurostat. E come per miracolo la media mobile calcolata dalla Commissione nell’autunno 2012 è stata del 5,9 per cento. Di conseguenza la Germania non era in squilibrio macroeconomico. I dati definitivi pubblicati nella primavera 2013 parlano invece di una media del 6,1 per cento. Ma ormai era troppo tardi, il semestre europeo era cominciato e la Germania era già in campagna elettorale.

Tutto questo dimostra l’assurdità di una gestione automatica basata sulle cifre

Tutto questo dimostra l’assurdità di una gestione automatica basata sulle cifre. La diagnosi può essere diversa dopo che sono disponibili i dati finali. E che cosa faremmo invece se un paese dovesse essere sanzionato sulla base di statistiche che si dovessero rivelare sbagliate?

Nel frattempo le eccedenze tedesche sono aumentate. Impossibile cambiare le cifre, ormai le esportazioni sono arrivate al 6,4-6,6 per cento del pil per il periodo 2010-2012. La Germania si ritrova quindi prigioniera delle sue stesse regole, così come la Commissione.

La dittatura delle cifre doveva permettere di imporre delle riforme nonostante la loro impopolarità e si puntava sull’esempio tedesco. Difficilmente i greci, i francesi e gli spagnoli potranno accettare, a pochi mesi dalle elezioni europee, delle regole di favore per la Germania.

Traduzione di Andrea De Ritis


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