by Sergio Segio | 4 Settembre 2013 8:32
Questo è particolarmente vero per i paesi europei. Negli ultimi anni l’Europa è vissuta in perpetua crisi e sta ora assistendo al dramma di una generazione costretta a vivere al di sotto degli standard di cui ha potuto beneficiare la generazione precedente.
La gioventù europea si trova di fronte a un bivio: accelerare il processo che porta alla completa integrazione o prolungare la lenta deriva verso l’irrilevanza. Eppure rispetto alla pericolosità della situazione, la proposta più ambiziosa è quella di far svolgere le elezioni lo stesso giorno in tutti i paesi dell’Unione e di eleggere con votazione diretta il presidente della Commissione Europea. Siamo ben lontani dal Big Bang di cui l’Europa avrebbe bisogno.
I tempi sono maturi per un movimento di base, transnazionale, transgenerazionale e non ideologico, che sia in grado di guidare l’integrazione europea verso un livello superiore. Abbiamo bisogno delle tecniche di mobilitazione adottate a Tahrir, Taksim, Rio e San Paolo e di imparare la lezione di Obama sull’uso del crowdfunding per raccogliere le risorse finanziarie necessarie per le campagne elettorali. E prima di formare un partito, dovremmo ripercorrere le storie che hanno avuto successo in Europa per ispirare la nostra futura linea.
Lasciamo che i finlandesi ci svelino il segreto del loro sistema educativo; i francesi quello dell’assistenza sanitaria; i tedeschi del lavoro flessibile e della promozione di piccole e medie imprese di successo; gli svedesi dell’uguaglianza di genere; gli italiani della qualità del prodotto e della valorizzazione delle specificità regionali.
Ora come ora i paesi europei continuano ad adagiarsi su alcuni status symbol, frutto dell’eredità del vecchio mondo. Vantiamo un passato glorioso e monumenti meravigliosi, e rimaniamo modelli invidiati di cultura, moda e gastronomia, continuando ad attrarre un numero sempre maggiore di turisti da ogni parte del mondo, anno dopo anno.
Ad ogni modo, gli status symbol del Vecchio Mondo ed i turisti non salveranno l’Europa. Salveranno forse Parigi, Berlino, Roma, e Londra, così come forse salveranno, la Valle della Loira, la Baviera, la Toscana e l’Oxfordshire. Ma nel resto dell’Europa, fuori da queste capitali- musei e campagne ricche di storia, la situazione tenderà sempre più al disastro. Disoccupazione cronica, recessione e invecchiamento delle popolazioni diverranno le sole attrazioni.
I nostri Governi e Parlamenti non sono malintenzionati o incompetenti di fronte a questa sfida. Semplicemente non sono in grado di comprendere la situazione politica attuale. È ingenuo aspettarsi che i tradizionali leader politici eletti a livello nazionale (in carica per quattro o cinque anni) affrontino problemi come la scarsità di risorse, la deforestazione, la disoccupazione cronica, il riscaldamento globale e l’esaurimento delle risorse ittiche, che sono di portata globale e la cui risoluzione richiederebbe inevitabilmente decenni.
Le soluzioni di oggi a questi problemi devono necessariamente essere transnazionali, o non costituiranno per nulla soluzioni reali.
Di certo non dobbiamo smettere di tifare per le nostre squadre del cuore; ma non facciamoci più abbindolare dalla chimera autocelebrativa dei nostri leader politici, per cui lo Stato-Nazione — in termini di politiche decisionali — sia ancora un mezzo consono ai nostri tempi.
Piuttosto, sposiamo l’idea che molti di noi hanno già intuito: siamo all’alba di una nuova era post-nazionale, in cui gli Europei possono passare dall’essere gli ultimi della classe al rappresentarne i suoi elementi più promettenti.
Se così non fosse, l’Europa rischierebbe di diventare ciò per cui ha sempre deriso gli Stati Uniti: un paese con i migliori ospedali e milioni di persone senza assicurazione sanitaria; con tecnologie tra le più avanzate al mondo e moltitudini senza possibilità di accedervi; con università di prima classe ma generazioni ancorate ad una ristretta visione del mondo da parte del loro paese.
Dobbiamo essere consapevoli di ciò che il resto del mondo ha già riconosciuto: che possiamo essere Europei sul palcoscenico mondiale. Noi siamo, paradossalmente, gli unici a mettere ancora in dubbio il nostro stesso progetto politico. Ci lamentiamo che l’Europa sia solo un concetto astratto per i suoi cittadini, ma non abbiamo ancora approvato le leggi necessarie per creare un passaporto europeo degno di questo nome, né una struttura adeguata che consenta ad ogni europeo di abbracciare veramente il progetto Ue.
C’è un vecchio detto ebraico che recita: “Se avete solo due alternative, allora scegliete la terza”. Il punto non è quello di sostituire le gerontocrazie dell’Europa con una dittatura dei giovani. Questo movimento deve essere portato avanti da tutti coloro che, indipendentemente dalla loro età, sono concordi nel ritenere che è necessario attuare un grande cambiamento di potere intergenerazionale. Abbiamo bisogno che giovani e meno giovani lavorino insieme, in nuovi modi, per ridurre il debito che stiamo accumulando e che verrà pagato dai nostri figli. Nati in tempi di austerità, i giovani europei sono maggiormente motivati e quindi meglio attrezzati rispetto alle generazioni precedenti per avviare la riduzione del debito. Sono cresciuti tra i tagli di bilancio e sono nativi digitali. Al contrario dei nostri leader di oggi, sono più facilmente adattabili al sempre più rapido ritmo di cambiamento dei nostri tempi. Il loro istinto li porta a scoprire i metodi più innovativi e produttivi per raggiungere i loro obiettivi.
Nelle democrazie, la politica ha sempre agito in funzione dell’equilibrio tra ciò che le persone sperano di ottenere e ciò che effettivamente ottengono. Ma in Europa sono diventate troppo elevate le aspettative di ogni nazione e troppo scarsa la realizzazione di risultati tangibili. Invece di discutere su quali siano le linee politiche preferibili, abbiamo bisogno di un impegno pan-europeo che determini le migliori performance in ogni campo e favorisca la loro implementazione in tutto il continente. In che cosa ogni paese si esprime al meglio? Quali stimati modelli sono esportabili? In che modo possiamo sfruttare la messa in comune, in tutte le nazioni europee, di esperienze, risorse e soluzioni già sperimentate?
L’Europa non verrà cambiata attraverso le elezioni europee del 2014. L’Europa cambierà solo quando i futuri politici europeisti concorderanno nel trasferire davvero alle istituzioni europee il potere che meritano.
Facciamo capire ai nostri politici che non siamo più disposti a comprare il loro bluff nazionalista e che non condividiamo la loro stessa paura di cadere nell’irrilevanza se conferiamo alle istituzioni europee, come la Commissione ed il Parlamento, il posto e il potere che meritano.
La scelta è tra usare la forza e le considerevoli risorse di tutta la rete europea o lasciare che il passo veloce della globalizzazione si lasci le nazioni europee alle spalle.
Smettiamola di dubitare dell’Europa e iniziamo a comportarci da Europei. Il primo passo è votare non come francesi, tedeschi, greci o italiani, ma come Europei.
sono co-fondatori di Europeans. Now. Movement Questo testo si basa su un articolo pubblicato dal New York Times e adattato da Andrea Odoardi per www. EuropeansNow. eu
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