Amianto, la Marina sotto accusa
Sulle navi della Marina c’era l’amianto ma, per decenni, chi sapeva del pericolo ha preferito tenere la bocca chiusa. Mettendo in pericolo la salute l’ignaro personale della Marina Militare e causando centinaia di vittime, colpevoli solo di svolgere il proprio lavoro. Una storia su cui adesso la Procura di Padova vuole fare luce e che vede indagate 14 persone ritenute responsabili, secondo l’accusa, di omicidio colposo e violazione della normativa antinfortunistica.
Indagati che, a vario titolo, hanno fatto parte dei vertici della Marina durante gli anni ’80 e ’90: capi di Stato maggiore, direttori generali di sanità militare, ispettori di sanità, comandanti in capo della squadra navale, direttori generali degli armamenti navali. Ad ogni nominativo, si legge nel documento della procura, sono abbinati decine e decine di marinai morti per amianto o che hanno contratto malattie incurabili asbesto correlate. Le vittime sarebbero centinaia.
Secondo le accuse, gli indagati «omettevano di rendere edotto il personale appartenente alla Marina Militare dei rischi per la salute insiti negli ambienti di vita e di lavoro a causa della presenza di amianto tanto all’interno delle navi militari che degli altri ambienti frequentati dagli stessi per ragioni di servizio, oltreché di informarli dei rischi ulteriori prodotti dalle lavorazioni cui erano adibiti, dalle polveri che respiravano e dallo stesso uso di dotazioni di bordo contenenti amianto (guanti, tute e coperte ignifughe)», come si legge nel documento firmato dal pm Sergio Dini.
Non solo. Gli indagati «omettevano di sottoporre e far sottoporre con regolarità i dipendenti della Marina militare», prosegue l’accusa, «ai controlli sanitari relativi agli specifici rischi esistenti in ambienti di lavoro caratterizzati da notevole presenza di materiali amiantiferi; omettevano di curare la fornitura e di imporre a controllare l’effettivo impiego di idonei mezzi di protezione individuale; omettevano», conclude il pm Dini, «di adottare idonee misure atte ad impedire o comunque ridurre, secondo le possibilità della tecnica, il diffondersi di polveri di amianto prodotte dalle lavorazioni e/o dall’uso di dotazioni contenenti amianto».
Omissioni andate avanti negli anni che, leggendo le carte messe a disposizione dal presidente dell’Ona (Osservatorio nazionale amianto), l’avvocato Ezio Bonanni, legale di alcune delle vittime, partono da lontano. «Già dalla fine degli anni ’60», sostiene Bonanni «i vertici della Marina erano a conoscenza dei rischi ai quali andavano incontro i loro sottoposti. L’asbestosi è stata inserita nella tabella delle malattie professionali nel 1943, dopo che nel 1941 la Corte di Cassazione aveva emesso le prime sentenze di condanna al risarcimento dei danni. C’è un carteggio, catalogato come ‘riservato’ o ‘riservatissimo’, tra la cattedra di medicina del lavoro di Bari ed i vari organi della Marina militare che dimostra chiaramente come oltre 40 anni fa il problema fosse chiaro a tutti. Il pesante tributo in termini di vite umane tra i militari della Marina, così come è successo anche per l’Aeronautica, fino ad imporre la loro equiparazione alle vittime del dovere, sta lì a dimostrare che le tutele si sono rivelate inefficaci».
Da quanto emerge dalle carte, il quadro era già preoccupante nel 1969 e, in uno studio scientifico di carattere epidemiologico-statistico ed ambientale effettuato all’arsenale militare di Taranto su 269 persone esaminate, già 27 persone presentavano sintomi di malattie asbesto correlate e per altri 42 casi c’era un’alta probabilità.
Risultati che sono stati portati a conoscenza dell’autorità giudiziaria dall’Ona. In una lettera inviata nel giugno del ’68 dal titolare della cattedra di Medicina del lavoro a Bari a un generale della Direzione di sanità militare marittima di Taranto, si chiede di iniziare questo studio epidemiologico dando ampie rassicurazioni sulla riservatezza dell’operazione. «Le confermo il carattere squisitamente scientifico di tali indagini », si legge nella missiva, «i cui risultati non saranno forniti ad organizzazioni sindacali o politiche ma resteranno a disposizione esclusivamente della Direzione di sanità militare marittima».
A 40 anni dal carteggio e a 20 anni dalla messa al bando dell’amianto, buona parte della flotta della Marina non è stata ancora bonificata: al momento sono stati spesi 31,5 milioni di euro che hanno permesso di rimuovere l’amianto “completamente” sul 29 per cento e “parzialmente” sul 54 per cento delle 148 navi contaminate.
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