by Sergio Segio | 8 Settembre 2013 6:47
E lo è in modo particolare per me che con Pietro ho condiviso gli anni della mia formazione a via della Vite presso il Centro Riforma dello Stato da lui diretto nel triennio 1993-1996. L’ho incontrato lo scorso anno dopo molto tempo a Catania. E con la stesso tono sorridente di un tempo mi ha parlato dei suoi nuovi studi, della sua passione per la psicoanalisi, del suo Incontro con Gesù.
Ordinario di diritto privato e di filosofia del diritto presso l’università di Catania, Pietro Barcellona è stato innanzitutto un intellettuale militante. La politica era per lui ragione di vita. Lo era sempre stata, sin dagli anni degli studi universitari, quando per affermare i suoi desideri di «fraternità» divenne comunista. Stimato collaboratore di Pietro Ingrao, nel 1979 è stato eletto deputato nel Pci dopo essere stato tra il 1976 e il 1979 componente del Csm.
Nel corso della sua vita e nello sviluppo della sua estesa produzione scientifica diritto e politica convivono ininterrottamente. Spesso problematicamente ma senza mai disgiungersi del tutto. È attorno a tale paradigma che matura il profilo di uno studioso impegnato a sviluppare le nuove intuizioni della scienza giuridica assecondando un taglio originale e antiformalista. Nella sua visione, dietro il funzionamento del diritto non v’è la norma astratta ma i soggetti, la società, il conflitto. E compito del giurista è coglierne sviluppi e connessioni. Un metodo e un terreno di indagine che indurranno Barcellona negli ultimi anni della sua vita ad avviare una serrata critica nei confronti dell’odierno universalismo giuridico che tende a «desocializzare il diritto» e con esso gli individui.
Quegli individui senza anima che la biopolitica ha ridotto a «nuda vita», spogliata da ogni determinazione politica, sociale, spirituale. La privatizzazione del mondo e del diritto è infatti per Barcellona il portato della neutralizzazione della politica, l’esito di un processo che tende a collocare i diritti fuori dal conflitto. Una sfida che ha nell’Europa il suo terreno di sperimentazione. La sconfitta dell’utopia comunista e il crollo del muro di Berlino ne hanno fatto il luogo ideale della rivincita capitalistica e della svolta tecnocratica. Ma l’Europa è per Barcellona anche il terreno di resistenza a ogni «fantasia dell’onnipotenza».
Ad una sola condizione però, che l’Europa torni ad essere la terra dell’accoglienza, del dialogo, della lotta alle diseguaglianze. È questa l’agenda che Pietro ci ha lasciato e della quale la sinistra dovrà fare tesoro. Per ricominciare.
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