by Sergio Segio | 30 Settembre 2013 5:54
ROMA — Al Senato, a rigor di logica, il vuoto nelle «larghe intese» aperto dalla defezione del Pdl-Forza Italia potrebbe essere colmato da una sterzata a sinistra: sulla carta, infatti, Pd (108 senatori, ma il presidente dell’Aula, Pietro Grasso, per prassi si astiene, quindi 107 voti utili), più Sel (7), più M5S (50) sarebbero in grado di dar vita a quella «maggioranza alternativa» che ha avuto poca fortuna in principio di legislatura con i tentativi messi in campo da Pier Luigi Bersani. Ma questa è solo un’ipotesi di scuola e nessuno è disposto a scommettere un euro su un appoggio di Beppe Grillo a un governo con il Pd.
Ne consegue, dunque, che l’asse del futuro governo (o dell’attuale che continua la sua lenta marcia) debba rimanere necessariamente ancorato al centro: in questo caso allo «zoccolo duro» rappresentato dal Pd (107) si aggiungerebbero i 20 senatori di Scelta civica, i 10 delle Autonomie e i 7 di Sel. Totale 144 seggi. Ancora troppo pochi, però, per garantire l’autonomia di un governo Letta o di un Letta bis che avrebbe la sua autosufficienza solo raggiungendo quota 161, cioè il quorum compresi i senatori a vita. Una manciata di voti mancanti, questa, che potrebbe arrivare dalle mille diaspore fin qui consumate dai grillini. E tanto per dirla con le parole di Marino Mastrangeli (il primo senatore cinquestelle a essere messo alla porta dai fedelissimi di Grillo) «di Orellana ce ne sono una decina». Formalmente, comunque, i grillini fuoriusciti dal Movimento sono solo 4. Un contributo potrebbe venire anche da cinque (senza contare Monti, in Scelta civica) senatori a vita (ma in realtà sarebbero 4 perché le condizioni di salute non consentono a Carlo Azeglio Ciampi di andare al Senato).
C’è, però, anche un terzo schema che sta prendendo forma in queste ore. Pd (107), Scelta civica (20), autonomisti (10) e Sel (7) — totale 144 seggi, a cui potrebbero aggiungersi i senatori a vita (4) — arruolerebbero nella nuova maggioranza i grillini fuoriusciti dal M5S e, soprattutto, una consistente pattuglia di «responsabili» del Pdl che non sono disposti a seguire la «deriva estremista» della falange Verdini-Santanchè.
Su questa operazione di distacco dal Pdl, il condizionale è d’obbligo, perché la forza di attrazione e di persuasione del Cavaliere è sempre fortissima. E molti «sospettati», sebbene non richiesti, hanno già manifestato fedeltà a Berlusconi (Villari, Colucci, D’Anna, Milo, Falanga, Langella…). Eppure è un fatto che 4 senatori del Pdl (Gaetano Quagliariello, Carlo Giovanardi, Pippo Pagano, Salvatore Torrisi) e Paolo Naccarato di Gal non hanno firmato la lettera di dimissioni da parlamentare chiesta ai suoi uomini da Berlusconi.
Secondo l’avvocato Torrisi, fedelissimo di Angelino Alfano, e anche lui «diversamente berlusconiano», sul fronte della governabilità «il Senato regge… perché questo ci chiedono gli italiani». Spiega il senatore catanese: «Questa domenica ho partecipato alla festa patronale di Ragalna (un Comune della fascia etnea,ndr ) e la gente è venuta a stringermi la mano raccomandandosi di assicurare la continuità dell’azione di governo». E le dimissioni da parlamentare? «Un atto al limite dell’eversione», taglia corto Torrisi.
Per dirla con il senatore Luigi Compagna (Gal, gruppo costola del Pdl-Fi), «bisogna vedere che cosa farà il ceto medio del partito». Se infatti i volti noti, Quagliariello e Giovanardi, ma, anche, Maurizio Sacconi, si limiteranno a non votare contro Letta, molti peones potrebbero addirittura sposare (anche per interesse personale) il partito della stabilità e della legislatura lunga. Domenico Scilipoti (Pdl, con una storia politica di trasformismo che parte dall’Italia dei valori) ha detto di aver firmato la lettera di dimissioni ma, anche, che «è sempre possibile dare la fiducia a un altro esecutivo». Ma qui, con tutto il rispetto per l’apporto offerto da Scilipoti, si aprirebbe quel governo tenuto in vita dalle «frattaglie» che Letta vuole evitare come la peste.
C’è infine un grosso problema Sel che viene sollevato dal senatore a vita Mario Monti (Scelta civica). Al centro, infatti, c’è un gran lavorìo condotto, oltre che da Monti, anche da Pier Ferdinando Casini e dal ministro Mario Mauro per favorire l’operazione distacco dal Pdl. Tutto ciò, ipotizza Monti, si concretizzerebbe in numeri utili per una nuova maggioranza solo se i 7 di Sel rimangono fuori. E a patto che sia Enrico Letta, e non un altro premier, a guidare il nuovo governo, ammesso che l’attuale non ce la faccia a sopravvivere.
Dino Martirano
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