Letta: non voglio fare il re Travicello Mercoledì vado in Parlamento

by Sergio Segio | 30 Settembre 2013 5:49

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ROMA — Lo dice alla fine, prima dei saluti. A Silvio Berlusconi, nel giorno del suo compleanno, Enrico Letta augura «dal profondo del cuore anni di serenità», uno stato d’animo di cui l’Italia ha molto bisogno e che sarebbe «utile per tutti». Il premier va in tv da Fabio Fazio e ci mette la faccia, nell’estremo tentativo di sbloccare una crisi al buio che rischia di spegnere la luce a Palazzo Chigi e al Paese.
Non sarà il «Re Travicello» della favola di Esopo. Se avrà i numeri andrà avanti, in caso contrario farà un passo indietro: «Non sono disposto a guidare governi elettorali o di piccolo cabotaggio. Non mi interessa governare a tutti i costi, con una maggioranza che sta in piedi per tre giorni… O il Parlamento si impegna a sostenere il mio programma alla luce del sole, o sarò io a lasciare». Vuole governare «fino alla primavera del 2015» e per questo, quando è salito al Quirinale, non si è dimesso e non intende farlo. Mercoledì si presenterà a Palazzo Madama e poi a Montecitorio e chiederà «la fiducia su questo governo», dopo aver delineato con determinazione le ragioni per le quali «sarebbe un delitto» staccare la spina.
Letta prende tempo e poiché ha l’ottimismo nel carattere, non esclude una clamorosa svolta che salvi le larghe intese. È a questo miracolo che sta lavorando: «Ma lo ripeto, niente scambi tra la vita del governo e la complessa vicenda di Berlusconi. A costo di andare a casa». Non promette una riforma della giustizia che serva a tirar fuori il Cavaliere dai suoi guai perché a lui, dice strizzando l’occhio agli elettori, «interessa velocizzare la giustizia per i cittadini». Ha dichiarato guerra a Berlusconi, ma senza colpi bassi. «Niente polemiche e giochi politici, io non sono il tipo». Per fermare l’«eterno ritorno» dell’ex premier ricorre a un vecchio film di quand’era ragazzo, «Il giorno della marmotta» con Bill Murray, dove il protagonista «si sveglia la mattina e rivive ogni giorno lo stesso incantesimo». A suo modo, senza toni acuti, sprona gli italiani a ridestarsi e ai parlamentari del Pdl ricorda come l’80 per cento dei loro elettori «non sia d’accordo con questo cupio dissolvi». E allora, non sarebbe meglio andare a votare? Non col Porcellum, no. Per tornare alle urne ci vuole una nuova legge che non sia in odore di incostituzionalità e se il governo cade, incalza, andrà in fumo anche la possibilità di cambiarla.
Il travaglio del Pdl lui lo rispetta e riconosce il «drammatico momento di svolta» innescato dalla vicenda di Berlusconi, ma spera che il Pdl ne approfitti per voltar pagina ed evolvere verso «un centrodestra di moderati europeisti». Sull’Iva attacca, smentisce che il Cavaliere non abbia mai messo le mani in tasca agli italiani («tutta propaganda!») e di nuovo lo accusa di rovesciar frittate: «L’aumento lo ha fatto lui quando era al governo». Se otterrà la fiducia e riprenderà il viaggio, promette che riformerà le aliquote della tassa sui consumi. E quando il conduttore gli chiede se è vero, come sostiene Bondi, che stia tentando di spaccare il Pdl lui non risponde, lasciando che le interpretazioni corrano veloci.
Il premier comincia a sperare che il muro berlusconiano, crepa dopo crepa, possa davvero franare. I moderati del Pd e di Scelta civica si muovono, ormai alla luce del sole, per allargare il perimetro del centro filolettiano. Casini lavora «per creare la sezione italiana del Ppe» e Fioroni ragiona apertamente di un «nuovo progetto politico». Nel suo discorso in parlamento Letta non potrà spingersi avanti fino a delineare un approdo per i transfughi del Pdl, ma indicherà la rotta ai moderati.
Se il miracolo della resipiscenza berlusconiana non si compie, l’estremo tentativo di salvare la legislatura sarà un appello pensato per aprire crisi di coscienza nel Pdl: responsabili con lui (e con il Paese), irresponsabili con Berlusconi (e contro il Paese). «Bisogna far sentire ai suoi parlamentari non la paura di voltargli le spalle, ma la paura di restare con lui». Sa che il voto di fiducia è un passaggio ad altissimo rischio, eppure guarda a mercoledì con ostentata serenità. «I numeri per salvare la legislatura ci sono e se parte il treno non lo ferma più nessuno…». Queste le riflessioni di segno ottimistico che si fanno sottovoce a Palazzo Chigi, dove il consigliere diplomatico Armando Varricchio è tornato ieri dagli Usa, convinto che il 17 ottobre il premier volerà a Washington per incontrare Obama.
D’altronde è nel carattere di Letta pensare che «le grandi prospettive si aprono quando tutto sembra finito», come ha detto ieri parlando della pace e della Siria. Entrando al meeting di Sant’Egidio è stato accolto come uno di casa e per tre volte, al fianco di Andrea Riccardi, si è voltato verso i duemila dell’auditorium, salutando con le mani alzate. Ma chiudendo il suo intervento ha strappato alla platea risate amare: «Se vi scapperà qualche preghiera per l’Italia, in questi tre giorni, fatela…». Se la situazione politica dovesse precipitare verso le urne Letta resterà in campo, con le mani libere per candidarsi al tempo stesso a Palazzo Chigi e alla guida del Pd. Prospettiva alla quale il suo entourage lavora con crescente impegno, ma della quale lui parla con evidente imbarazzo: «Le primarie? Ovviamente voterò ma sono totalmente concentrato su questa azione di governo».
Monica Guerzoni

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