Il governo a un passo dalla fine Letta sfida il Pdl: martedì la fiducia

by Sergio Segio | 28 Settembre 2013 8:06

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SIAMO alle battute finali. In una drammatica accelerazione serale, il governo Letta di fatto finisce in una condizione di agonia.

MANCA ancora la certificazione finale, visto che il premier intende spostare la crisi in Parlamento e stanare il Pdl con un esplicito voto di fiducia. E tuttavia da entrambi i partiti anche i più dialoganti ammettono che gli spazi di manovra sono ridotti, praticamente inesistenti. «Sono determinatissimo a non farmi logorare e lo è anche Napolitano », confida a tarda sera Enrico Letta al termine della giornata più lunga del suo governo. Dunque, per colpa del Pdl aumenterà l’Iva da martedì; ormai è un dato acquisito, visto che il rialzo è già fissato per legge e il governo, che avrebbe dovuto varare un decreto legge per evitarlo, di fatto è congelato da ieri in tutte le sue attività. «Ma il problema non sono le coperture — spiega Letta in privato contraddicendo la versione di comodo dei berlusconiani — quanto la situazione di pre-crisi che trascina con sé la manovrina». Un blocco dell’esecutivo, accusa il premier durante un Consiglio dei ministri finito in semi-rissa, causato «dall’impossibilità a impegnare risorse così ingenti senza la garanzia di una continuità di governo». Insieme al decreto sull’Iva salta infatti anche la correzione dei conti pubblici, che avrebbe dovuto riportare il rapporto Deficit/Pil sotto il limite del 3%. E inevitabilmente da domani Bruxelles riaccenderà un faro sull’Italia. Di nuovo sorvegliati speciali.
IL VULNUS DI BRUNETTA
Come si è arrivati alla rottura? Lo strappo, il «vulnus » come lo chiama il premier, si è prodotto già mercoledì. Quando un’idea di Renato Brunetta — le dimissioni di massa dei parlamentari — si fa strada fino a diventare l’arma con cui i falchi del Pdl si impadroniscono dell’iniziativa. E proprio nel momento in cui il presidente del Consiglio italiano sta parlando davanti alle Nazioni Unite. Letta è furibondo. Si è convinto che quella coincidenza temporale, che ha portato a uno sfregio internazionale, sia stata «non casuale ma voluta». Salito ieri pomeriggio al Quirinale, il premier si sfoga a lungo con il capo dello Stato per «l’umiliazione» a cui è stato sottoposto: «Questo episodio Presidente non può restare senza conseguenze. È stata oltrepassata una linea rossa». Insieme, premier e capo dello Stato, condividono passo passo le prossime mosse. Primo: il chiarimento politico in Parlamento dovrà essere «il più duro e netto possibile». Due aggettivi che il premier fa inserire persino nel comunicato finale del Consiglio dei ministri, che per la prima volta viene trasformato in un Tazebao politico contro il Pdl. Secondo: il confronto dovrà arrivare presto, prestissimo. Già martedì. Probabilmente al Senato, per evitare che il Pdl ricorra alla «furbata» delle astensioni, che lì valgono come un voto contrario. Dunque dentro o fuori, «prendere o lasciare». Una scelta secca, «senza finte tregue». In questo week-end il premier lavorerà a un documento su cui porre la fiducia. Di fatto un nuovo programma, fitto di impegni fino al 2015.
IL PD VEDE IL BLUFF
Letta per una volta può giocare di sponda con un partito unito in tutte le sue componenti. I democratici a questo punto hanno deciso di andare a vedere se quello di Berlusconi è un bluff oppure no. Una determinazione che si sposa con la richiesta di Epifani, davanti alla Direzione del Pd di ieri mattina: «Non se ne può uscire con l’ennesimo giro di valzer». Il segretario, prima di salire anche lui a palazzo Chigi per un colloquio con il premier, aveva lanciato un’accusa agli «irresponsabili» del Pdl: «Il loro è un colpo alla schiena dell’Italia che lavora e che cerca di uscire dalla crisi».
IL DISAGIO DEI MINISTRI PDL
In questa situazione a fare la fine dei vasi di coccio sono i ministri del Pdl, stretti tra l’osservanza al Capo e la fedeltà al governo di cui fanno parte. Enrico Letta, prima del Consiglio dei ministri, riceve insieme a Dario Franceschini i forzisti Alfano, Lupi e Quagliariello. E a loro ripete a muso duro quanto ha già detto a chiare lettere al segretario del Pdl qualche ora prima, affinché lo riferisse a Berlusconi. «Così non si può più andare avanti. La vicenda giudiziaria di Berlusconi e quella del governo per me restano distinte. Lo dico a voi e lo dirò in Parlamento». I toni nella riunione salgono, i ministri del Pdl chiedono un «segnale politico» almeno sulla questione della non retroattività della legge Severino. Come fanno filtrare dopo l’incontro, «non si va da nessuna parte se dal chiarimento si esclude la questione giustizia». Ma il premier non accetta «ricatti». Anche Franceschini striglia Alfano in Consiglio dei ministri: «Per voi la giustizia è sinonimo di problemi giudiziari di Berlusconi e non esiste la possibilità di barattare la durata del governo con cedimenti sulle regole». Del Rio e Orlando usano argomenti simili.
LA RABBIA DI BERLUSCONI
E Berlusconi? Prima di ripartire per Arcore, lascia un campo di macerie dietro di sé e un partito diviso. I falchi come Verdini, Capezzone e Santanchè sono per votare la sfiducia. Schifani, Brunetta e le “colombe” temono di essersi infilati in un “cul de sac” dal quale sarà difficile uscirne illesi. E provano a separare il voto di fiducia dalla questione della decadenza.
Berlusconi tuttavia non dà loro ascolto. Stando ai racconti della riunione che si svolge a pranzo a palazzo Grazioli, è proprio il Cavaliere il più falco di tutti. Ce l’ha con Letta, perché «ormai sta giocando la sua partita contro Renzi». E soprattutto ce l’ha con Napolitano, «perché se pensa di spaventarmi con la crisi di governo si sbaglia di grosso. Noi andremo avanti». È talmente convinto che il suo nemico numero uno, «prima della magistratura», sia il capo dello Stato che nel Pdl si racconta che ieri Napolitano abbia provato a farsi passare al telefono Berlusconi. Il quale tuttavia si sarebbe rifiutato di parlargli. «Se il piano per eliminarmi andrà in porto io non ho paura di aprire la crisi di governo», ha mandato a dire il Cavaliere a palazzo Chigi. Un gioco d’azzardo, che non considera la possibilità molto concreta di un governo di scopo per fare la legge elettorale. Un’ipotesi che sarebbe già stata discussa ieri al Quirinale tra Letta e Napolitano.
Dietro la faccia feroce, in realtà Berlusconi sarebbe molto meno convinto di quanto non voglia far credere. Tanto che, con un ministro del suo partito, ieri si è lasciato andare a un’umanissima ammissione: «Con questa storia delle dimissioni…ma non è che avremo fatto una cazzata?».

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