by Sergio Segio | 27 Settembre 2013 7:00
NEW YORK — La «banca di Jamie» più ancora che un problema di denaro ha un problema di reputazione, in queste ore. Sta lottando per conservarla al meglio. Jp Morgan — guidata da Jamie Dimon, considerato spesso il banchiere più brillante e aggressivo al mondo — sta discutendo con il dipartimento di Giustizia di Washington e con alcune altre istituzioni un patto per sanare una serie di accuse, almeno sette, che le sono rivolte: l’accordo, che ieri sera non era ancora stato firmato e potrebbe cambiare o addirittura saltare, arriverebbe a costare alla maggiore banca americana per attività fino a 11 miliardi di dollari. Dimon, che ieri ha incontrato per due ore il ministro della Giustizia Eric Holder, vuole però che in cambio Jp Morgan venga sollevata da qualsiasi rischio di azioni legali future, penali e civili, e non sia costretta ad ammettere alcuna colpa: 11 miliardi in meno ma immagine pulita.
Nei giorni scorsi, la banca aveva proposto di chiudere i procedimenti in corso dietro il versamento di una penale da tre miliardi. Le autorità — oltre a Holder sono interessati al caso anche l’agenzia federale per la finanza alle abitazioni e il dipartimento alla Giustizia di New York — hanno respinto la proposta. Ora si tratta su una cifra ben maggiore: potrebbe essere la penale più alta mai pagata nella storia da una singola impresa. Dimon, signore assoluto della banca, ha creato un profilo altissimo per Jp Morgan (che alcuni chiamano Jamie’s bank): anche nel pieno della crisi finanziaria non si è mai lanciato in autocritiche e soprattutto non si è piegato alle pressioni di chi vorrebbe che i giganti del credito si ridimensionassero. Di fatto, è diventato il difensore ultimo del too-big-to-fail , della grande banca di sistema che non si può lasciare fallire perché provocherebbe onde fatali per l’intero sistema finanziario ed economico. Questa alta esposizione a molti business e ai media ha spinto Jp Morgan al centro dell’attenzione di più di un regolatore: pochi giorni fa, ha accettato di pagare 920 milioni di dollari per negligenza nel caso della London Whale, la balena di Londra, dal nome di un trader della banca che ha provocato un buco miliardario.
La questione più rilevante in discussione in queste ore riguarda una serie di titoli finanziari emessi tra il 2005 e il 2007 da Jp Morgan e, per il 70%, da Bear Sterns e Washington Mutual, due banche finite nei guai durante la crisi e comprate da Dimon. L’accusa le sta investigando per avere fuorviato gli investitori tacendo della cattiva qualità dei mutui sottostanti alle obbligazioni che vendevano, garantite da quei mutui stessi. Il valore di molte di quelle obbligazioni crollò durante la crisi. Le trattative in corso potrebbero prevedere il pagamento da parte di Jp Morgan di una penale di sette miliardi e di un versamento di altri quattro a chi investì nelle obbligazioni in questione, per alleviare il peso delle loro perdite (alcuni avvocati sostengono però che il danno fu di oltre 20 miliardi di dollari). Il negoziato potrebbe chiudersi tra pochi giorni. Se non si arrivasse a un accordo, invece, l’Attorney General (ministro della Giustizia) Holder potrebbe portare in tribunale la banca: ha già minacciato di farlo tre giorni fa.
Oltre a chiudere senza altre conseguenze la vicenda, Dimon non vuole ammettere colpe (e non vuole andare in tribunale) perché ciò creerebbe a Jp Morgan problemi di reputazione potenzialmente molto gravi con clienti e governi di tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Cina e all’Europa.
Danilo Taino
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