by Sergio Segio | 26 Settembre 2013 7:16
BERLINO. «Come mai Angela Merkel è andata così bene nelle elezioni? La principale responsabilità è della Spd». Per Sahra Wagenknecht, vicesegretaria della Linke, non ci sono dubbi: la debolezza dello sfidante socialdemocratico è stato uno dei fattori determinanti a favorire la cancelliera. «Peer Steinbrück non poteva rappresentare un’alternativa: incarna una serie di scelte sbagliate, dal salvataggio delle banche all’aumento dell’Iva, compiute quando era ministro della grosse Koalition del 2005-2009», argomenta la dirigente 44enne, figura di spicco della componente più radicale del partito.
Nel quadro della vittoria democristiana, come valuta il risultato della Linke?
Siamo arretrati rispetto a quattro anni fa, ma il nostro è tutt’altro che un risultato negativo. Nel 2009 avevamo in Oskar Lafontaine un candidato forte, e il partito nel suo complesso viveva ancora nell’euforia degli inizi. Negli anni successivi abbiamo attraversato una grave crisi, e un anno e mezzo fa avremmo messo la firma sotto l’8,6% il risultato che abbiamo ottenuto. Oltre al dato sul piano nazionale, va sottolineato che siamo al 6,1% in Nordreno-Westfalia (il Land più popoloso del Paese, tradizionalmente socialdemocratico, ndr) dov’ero capolista, e che siamo entrati nel Parlamento regionale dell’Assia. Nessuno può più sostenere che la Linke sia un partito confinato alla Germania orientale.
Si può dire che il suo partito abbia ormai consolidato uno zoccolo duro all’incirca dell’8%, ma che abbia delle difficoltà a raggiungere gli strati più svantaggiati della popolazione, che continuano ad ingrossare le file dell’astensione?
Non penso che l’8% rappresenti il nostro zoccolo duro, se intendiamo un elettorato fidelizzato: fino a non molti anni fa eravamo sempre intorno al 5%, che credo rappresenti davvero la nostra base elettorale certa. Detto ciò, l’astensione è un grosso problema. La questione ci riguarda da vicino, perché sono proprio le persone socialmente ai margini che non vanno a votare: c’è una differenza enorme fra le zone residenziali e quelle popolari, dove nei casi più estremi l’astensione è al 60-70%. Proprio quelli che si augurerebbero una politica diversa restano a casa, perché hanno perso la speranza che il loro voto possa cambiare qualcosa. E noi della Linke avremmo certamente un risultato migliore se raggiungessimo di più queste persone.
Il suo partito cosa fa per riuscirci?
In campagna elettorale siamo andati molto nei quartieri più svantaggiati e qualche risultato lo si vede: tra i disoccupati noi siamo al 20%. La grande difficoltà, però, è parlare a queste persone ogni giorno: non si riesce a farlo nemmeno partecipando ai talk show in televisione. Molte ricerche hanno mostrato che le trasmissioni politiche – per tacere ovviamente dai giornali – sono ignorate dai ceti sociali subalterni. Bisogna riuscire a radicarsi nei territori dove vivono: non c’è alternativa.
Al Bundestag c’è una maggioranza numerica a sinistra della Cdu-Csu, ma non ci sarà nessun governo progressista. Arriverà il momento di rapporti unitari fra Spd, Verdi e Linke?
Il fatto che non si riesca a trasformare la maggioranza numerica in maggioranza politica dipende dalla trasformazione che la Spd e, in misura minore, i Verdi hanno subìto negli scorsi anni. I socialdemocratici con Gerhard Schröder hanno smantellato le tutele sociali in modo brutale, e non hanno ancora preso realmente le distanze da quella stagione di «riforme». Questo spiega perché, sul piano programmatico, loro non vogliano cercare un accordo con noi. Io spero, naturalmente, che all’interno di quel partito cresca la consapevolezza del fatto che quelle scelte politiche hanno portato a due gravi sconfitte elettorali consecutive: dovesse succedere, aumenterebbero le possibilità di una collaborazione.
E la Linke non deve fare nessun passo verso i possibili soci di coalizione?
Ci vengono sempre rimproverate le nostre posizioni in politica estera. Spesso, però, lo si fa falsificando quello che diciamo, ad esempio sulla Nato. Noi siamo per l’uscita della Germania non dall’alleanza, ma dalle sue strutture militari, e sosteniamo che in prospettiva la Nato debba essere sostituita da un sistema di sicurezza collettivo che includa anche la Russia. Onestamente, non mi sembra una posizione tale da rendere impossibile il dialogo. E lo stesso vale per altri temi, come il salario minimo legale di 10 euro: una cifra perfettamente in linea con quella in vigore in Francia.
Passate le elezioni tedesche, tra non molto ci saranno le elezioni europee. Come LInke avete già in mente una strategia per creare un fronte anti-austerità a livello continentale, magari con una candidatura comune del Partito della sinistra europea (Se) alla presidenza della Commissione Ue?
Non so se sarà possibile una candidatura comune, ne parleremo dentro la Se. Quello che è certo è che continueremo la lotta contro una politica «anti-crisi» che è del tutto fallimentare: lo dicono la disoccupazione e i debiti pubblici dei Paesi in crisi. Ma io mi aspetto che anche i governi di quei Paesi finalmente si decidano a fare pressione sulla Germania, che è responsabile delle loro condizioni in virtù della sua offensiva dell’export fondata sul dumping salariale interno. Dovrebbero dire al governo tedesco: «se continuate così, facciamo saltare l’euro». Sarebbe un’arma negoziale molto forte.
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