Cgil: «Subito un piano per il lavoro»
No a nuove svendite delle grandi imprese italiane, rivedere l’intera politica economica all’insegna della redistribuzione. Ricreare ottimismo e far ripartire i consumi. Queste alcune delle proposte annuciate in occasione del convegno di ieri a Roma, in cui la Cgil ha presentato «un grande piano del lavoro». La segretaria Susanna Camusso si è pronunciata anche sul possibile aumento dell’Iva: «Non abbiamo ancora risposte certe, ma anche considerando possibili movimenti dei beni tra panieri delle aliquote, è importante che il cambiamento non incida sui consumi obbligati».
Danilo Barbi, il primo dei relatori, ha sottolineato la necessità di ripartire dai consumi e dagli investimenti per combattere le derive del sistema economico attuale, «un capitalismo senza lavoro», malato e in crisi. Sono le cifre a dimostrarlo: negli ultimi 5 anni gli investimenti nella zona euro sarebbero scesi del 19% ( in Italia del 24%). L’interscambio, secondo l’Fmi sarebbe calato del 34% e quasi tutti i paesi starebbero alimentando misure protezionistiche.
Le cause della crisi non sarebbero quindi imputabili al lavoro in sé che, come ha spiegato Susanna Camusso «è stata una delle vittime dell’ultimo ciclo economico», ma all’assenza di domanda, incrociata con un’offerta troppo basata sui consumi individuali. Ha proseguito Barbi: «Il lavoro ha subìto un eccesso di competizione nell’allargamento senza regole dei mercati e nei mercati nazionali con la diffusione della precarietà».
Secondo la Cgil il rilancio dovrebbe iniziare dalla restituzione dei redditi fissi (proposta concertata con Confindustria e gli altri confederati) e da un piano d’investimenti pubblici, un «New Deal dei beni comuni» in cui finalmente i beni ambientali e paesaggistici non sarebbero più sfruttati e depauperati , ma valorizzati e riqualificati.
I salari rimangono un nodo della nuova politica economica, ma il sindacato ne ha proposto l’aumento e non l’impoverimento o il blocco, come accaduto negli anni passati. Passando alle categorie più esposte agli effetti della crisi, giovani e donne, Barbi ha annunciato il loro impiego «non più nei lavori socialmente utili, ma in lavori utili per scopi sociali, organizzati in cooperative gestite con trasparenza dagli enti locali». Sostegno essenziale inoltre per i soggetti più deboli dovrebbero essere il reddito di cittadinanza o analoghe misure contro la povertà.
Gli interventi di Emilano Brancaccio, Pier Luigi Ciocca, Laura Pennacchi, Gustavo Piga e Vincenzo Visco hanno testimoniato in modi diversi un ripensamento generale da parte degli economisti sulle politiche di rigore finora attuate in Italia e in Europa, di cui oggi i dati possono misurare il fallimento. Ha ricordato Ciocca che «in un’economia a cambio fisso come quella europea la competitività si misura sul costo del lavoro, che si è abbassato di 8 punti dal 2007, mentre il Pil di 9». Laura Pennacchi ha denunciatoche «è un crimine continuare a formare i lavoratori senza che abbiano possibiltà d’impiego». Piga ha auspicato riforme contro la paura, che scoraggia imprenditori e giovani, maggiori fautori dell’innovazione. «La Germania non ha fatto da locomotiva trainante dell’Europa ma si è limitata al mercantilismo», ha invece denunciato Vincenzo Visco.
«La politica italiana non fa che galleggiare, una noia che dura da vent’ anni, si parla apparentemente di ripresa senza occuparsi della crisi» Così ha spiegato Susanna Camusso, a cui è stato affidato l’intervento conclusivo. La segretaria della Cgil ha annunciato battaglie contro la vendita delle quote delle ultime grandi aziende e a favore dell’occupazione, «che dovrebbe essere più urgente dell’abbassamento del cuneo fiscale». Inoltre «il nostro piano del lavoro non contiene solo cifre, ma ribadisce l’urgenza di fare riforme nella pubblica ammnistrazione e nell’istruzione e la necessità di pensare sentendosi parte della collettività». Spostandosi in ambito europeo, Camusso ha denunciato il riproporsi della questione Nord-Sud e una sua urgente risoluzione. Infine, in relazione alla discussione della prossima legge di stabilità, «serve una svolta nelle politiche e un cambiamento dei paradigmi».
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