Regole del congresso, si tratta per ore: l’accordo è lontano
ROMA — «Rottamare non va bene, asfaltare è violento, cool è troppo inglese». Matteo Renzi passa in rassegna il suo vivace repertorio lessicale e si stupisce delle reazioni: «Oh, ma fanno tutti polemica sulle parole. Aspetteremo le primarie per vedere se qualcuno vuole discutere anche delle idee». E a proposito di primarie, ieri la Commissione congresso ha tenuto una riunione fiume per provare a trovare una prima intesa sulle famose «regole». Oggetto di un duro scontro, con tira e molla continui, nel tentativo di raggiungere un compromesso alla vigilia dell’assemblea del Partito democratico, che comincia domani. Ma l’accordo è difficile. Lo dimostra il fatto che, nonostante diverse ore di discussioni, la riunione è stata aggiornata a questa mattina, nel tentativo di definire tutti gli aspetti, politici e tecnici.
Tre i temi principali: la data del Congresso, l’automatismo segretario-candidato premier e i congressi regionali. Quanto alla prima, lo Statuto stabilisce la data nel 7 novembre. Renzi vorrebbe rispettarla, accelerando il più possibile. Ma alla fine, la soluzione sarà probabilmente compresa tra il 1 e l’8 dicembre. Compromesso da trovare anche sulla questione dell’automatismo tra segretario e candidato premier. Non dovrebbe esserci più l’automatismo, nel senso che verrebbe modificato lo Statuto e si terranno le primarie: è vero che il partito potrà indicare alla premiership il proprio segretario, ma potranno candidarsi anche altri. Il nodo più difficile, il vero punto del confronto, sembra essere quello dei congressi regionali. Renzi non vuole che l’elezione dei segretari regionali avvenga prima di quello nazionale, per evitare che la macchina del partito resti nelle mani dei bersanian-cuperliani. I quali invece volevano cominciare dai provinciali, per seguire con regionali e nazionali, in modo da assicurare all’attuale maggioranza nel partito una posizione di sicurezza. Difficile trovare un punto di incontro.
E che le acque siano ancora agitate lo dimostra anche lo scontro tra il renziano Ernesto Carbone e il bersaniano Alfredo D’Attorre. Il primo dichiara: «Bersani getta la maschera. Il suo obiettivo è non fare il Congresso, per continuare a gestire il partito». Poi l’accusa di «violare sistematicamente le regole»: «Il 24 novembre dobbiamo organizzare i seggi, sia che Bersani voglia, sia che non voglia. Il partito non è suo». Replica di D’Attorre: «Renzi richiami i suoi sostenitori più esagitati almeno all’obiettivo di un Pd civile. Dichiarazioni come quelle di Carbone sono fuori dalla grazia di Dio. Il congresso va concluso entro l’anno, ma bisogna consentire anche ai livelli territoriali del partito di avere quanto prima organismi legittimati democraticamente ed eletti in maniera autonoma rispetto alle correnti nazionali».
Il dibattito verte anche sul ruolo e l’immagine del partito. La parola «cool» diventa oggetto di ironie. Gianni Cuperlo non apprezza: «È divertente, ma io non voglio un segretario divertente. Voglio un segretario che ricostruisca un partito. Ricominciando a recuperare quei voti, nostri, che si sono persi alle ultime elezioni». L’opposto di quello che dice Renzi, proiettato all’esterno e alla conquista dei voti del Pdl e del Movimento 5 Stelle.
Anche Pippo Civati, altro candidato alla segreteria, attacca: «Ho smesso di commentare gli slogan di Renzi, vorrei ogni tanto sentirlo parlare di politica, di questo governo, di quanto debba durare, di quello che è successo a Taranto, del gruppo Riva. E Gianni Pittella, quarto sfidante, conclude così: «Gli italiani non ne possono più di Berlusconi e dei suoi guai giudiziari, ma sono anche arcistufi dello sterile dibattito congressuale del Pd, fatto solo di date e di regole, battute e controbattute».
Alessandro Trocino
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