Gli anni in cui la Terra non s’è riscaldata

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NEW YORK — L’annuncio che il mondo sta per morire di caldo è stato probabilmente esagerato. È infatti in corso un serio ridimensionamento degli allarmismi lanciati negli anni passati sui cambiamenti climatici che potrebbe portare a una revisione delle politiche globali sulle emissioni di gas a effetto serra. Non una negazione del problema: un approccio meno ideologico, fondato su dati meno catastrofici e sul fatto che in questo secolo la temperatura media globale non è aumentata. Dal 23 al 26 settembre, si riuniranno a Stoccolma scienziati e rappresentanti dei governi per mettere a punto i dettagli del molto atteso documento sul climate change elaborato dall’Ipcc, il Panel dell’Onu che si occupa del tema. Il 27 ne verrà pubblicata una prima parte. Sarà come al solito controverso ma, dalle indiscrezioni trapelate, l’allarme sollevato dal documento dell’Ipcc precedente — del 2007, che creò polemiche perché tra l’altro sovrastimò lo scioglimento dei ghiacci dell’Himalaya — verrà significativamente attenuato.
Lo studio — elaborato da circa 800 scienziati di diversi campi e provenienze — dice che è praticamente certo, al 95%, il fatto che l’aumento delle temperature sul pianeta registrato negli ultimi 50 anni — 0,89 gradi centigradi — sia dovuto all’attività umana. Anche le recenti ondate di calore sono attribuite, con pochi dubbi, all’effetto serra, così come lo scioglimento dei ghiacci artici che il documento prevede in accelerazione (ma che almeno per quest’anno pare abbia invertito la tendenza). Maggiore scetticismo, però, gli scienziati del Panel nutrono sul legame tra gas serra e siccità e numero degli uragani. La cosa più interessante del documento – quasi duemila pagine riassunte in un estratto di una trentina – sono le previsioni sull’aumento della temperatura futura: secondo le indiscrezioni, il ridimensionamento contenuto nel documento è, rispetto al 2007, non enorme ma sufficiente a cambiare sostanzialmente le conseguenze a cui si arriva.
Sei anni fa, l’Ipcc sosteneva che l’aumento di lungo periodo (qualche secolo) di oltre due gradi della temperatura sarebbe stato «probabile» e che un aumento sopra 1,5 gradi «molto probabile». La bozza del documento che si discuterà a Stoccolma sostiene invece che è «estremamente probabile» un aumento di oltre un grado e «probabile» una crescita sopra gli 1,5 gradi centigradi rispetto alle temperature precedenti la rivoluzione industriale. Se invece che al lungo periodo si guardano i prossimi 70 anni, il documento in discussione parla di un aumento «probabile» tra uno e 2,5 gradi ed «estremamente improbabile» sopra i tre gradi: nel 2007 si dava per «molto probabile» una crescita tra uno e tre gradi. Il ridimensionamento dell’aumento atteso è evidente e solo apparentemente non enorme.
Stando alla media delle aspettative attuali, la temperatura globale dovrebbe aumentare meno di due gradi entro i prossimi anni Ottanta: ma i due gradi sono proprio la soglia limite, stabilita dall’Onu, oltre la quale si è finora sostenuto che il mondo non deve andare per evitare catastrofi. Sotto i due gradi, ci sono previsioni diverse: per alcuni negative comunque anche se non da fine del mondo, per altri positive, nel senso che nel complesso i vantaggi in alcune aree — per esempio in termini di maggiori rese agricole e maggiore forestazione — sarebbero maggiori degli svantaggi in altre.
Come si è visto in questi anni, sulle previsioni non ci sono certezze d’acciaio. In più, occorre dire che i cambiamenti climatici si possono sì misurare in termini globali, ma si articolano poi diversamente nelle diverse aree del mondo. E qui è ancora più difficile vedere il futuro. È però chiaro che l’approccio globale all’effetto serra sta cambiando rispetto ai tempi degli allarmi che procurarono il Premio Nobel (condiviso) ad Al Gore e all’Ipcc. È che le certezze catastrofiste vacillano. Il Met Office britannico ha sottolineato che la temperatura media globale del pianeta non aumenta dal 1997. Lo stesso Rajendra Pachauri — il famoso presidente dell’Ipcc che ritirò il Nobel insieme a Gore — ha ammesso che sulla superficie della terra la temperatura media non cresce da 17 anni e probabilmente non crescerà per altri quattro, anche se ha aggiunto che per dichiarare che si tratta di una svolta occorrono 30 o 40 anni di non aumento. È presto per dire che si è arrivati a un tetto stabile: alcuni scienziati sostengono che il vero riscaldamento avviene negli oceani; altri, invece, dicono che si è esagerato prima, con approcci che hanno portato a sovrastimare il problema.
Sta insomma affermandosi un approccio meno ideologico, più fondato su metodologie di ricerca differenziate. Avere un quadro meno orientato dall’allarmismo a priori non può che essere positivo. Potrebbe spingere a politiche sul clima meno polarizzate e più realiste di quelle recenti, a correggere ad esempio la demagogia delle sovvenzioni a pioggia cadute sulle energie alternative in Europa. E a convincere il pianeta che, in fondo, non siamo ancora morti, qualcosa si può fare.
Danilo Taino


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