Il Fisco a caccia dei «big» di Internet
Più che gli Over the top (Ott), come sono chiamate le grandi società di Internet, sembrano gli Over the tax: multinazionali che pagano microtasse. L’Agenzia delle Entrate è ora alla caccia delle società americane in Italia che evadono in Fisco. Gli agenti di Attilio Befera da qualche giorno stanno controllando le associazioni che riuniscono la Corporate Usa in Italia per capire se per il biennio 2010-2011 sono ravvisabili indizi di una «stabilizzazione» di questi uffici nel nostro Paese, a partire appunto dagli Ott come Google, Amazon, Facebook, Twitter and Co., ma non solo. Sotto la lente dell’Agenzia ci sono anche altre società americane che si muovono sulla linea Maginot delle tasse. L’obiettivo è smontare la difesa usata dalle aziende che hanno sempre parlato di semplici uffici di appoggio e non di strutture reali di vendita, nonostante l’evidente presenza in Italia di country manager alla guida di sostanziosi staff. La tempistica non è casuale: all’inizio di settembre i grandi del G20 si sono finalmente accordati a San Pietroburgo su un piano per contrastare «l’evasione fiscale a livello globale» e per impedire alle multinazionali di pagare sui loro profitti molte meno tasse delle altre imprese. Insomma, per la prima volta si è usciti ufficialmente e a livello politico dalla pruderie di non parlare espressamente di evasione ma solo di ottimizzazione fiscale (come viene definita nel gergo delle aziende) o al limite di elusione. Il progetto messo a punto dall’Ocse aveva già avuto in luglio a Mosca il via libera dei ministri finanziari del G20, ma a San Pietroburgo ha portato a casa il sì politico dei capi di Stato e di governo. Diventa dunque ufficialmente una lotta Stati contro Corporation. Il meccanismo più diffuso anche in Italia per evadere le tasse — e non pagarle in realtà nemmeno in Irlanda se non in minima parte come erroneamente si pensa — è il cosiddetto «Double Irish». Nella sostanza molte di queste aziende hanno due società a Dublino: la prima che risiede in Irlanda che fattura gli acquisti conclusi nei diversi Paesi europei e la seconda che risiede in un paradiso fiscale come le Bermuda e che detiene i diritti intellettuali della società. Così quando la prima società paga la seconda trasferendo gran parte del fatturato evade anche le già basse tasse irlandesi (12,5% sui profitti delle aziende). I conti degli Ott in Italia d’altra parte parlano chiaro. In tutto le più ricche e potenti società del mondo hanno contribuito nel 2012 alle casse dello Stato con 9,157 milioni (5,98 se si considerano i crediti d’i mposta). Come una singola media impresa.
Il metodo non è prerogativa degli Ott. Molte altre società americane usano lo stesso escamotage, come la Microsoft, Cisco e Adobe. Ma gli Over the tax appaiono più aggressivi nell’applicazione. Amazon, che opera in Italia con due società ha pagato per il 2012 717.320 euro con la Italia Logistica (203 dipendenti) e 332.180 con la Corporate Service. Google ha pagato zero tasse (anzi ha 5.454 euro di credito d’imposta) con la Technology Infrastructure e 1,8 milioni con Google Italy srl (144 persone). Basti pensare che per il mercato pubblicitario il consensus sul giro d’affari italiano di Google è di 700 milioni. Facebook (si stima che abbia raccolto pubblicità nel 2012 per 35-40 milioni) ha dichiarato 3 milioni di giro d’affari pagando 131.037 euro con la Italy srl. A confronto Apple sembra quasi un cittadino probo visto che nel 2012 ha pagato 648 mila euro con la Apple Retail Italia (ma con un credito d’imposta di 3,177 milioni) e 5,529 milioni con Apple Italia.
Microsoft Italia che ha chiuso il bilancio al 30 giugno 2012 ha dichiarato un giro di affari di 230,84 milioni, un utile di 11,7 milioni e ha pagato tasse per 16,35 milioni. La cosa bizzarra è che esistono strutture simili anche in territorio Usa cosicché le tasse non vengono pagate nemmeno dall’altra parte. Il Senato Usa sta infatti portando avanti una campagna contro queste società come sta facendo l’Europa. Peraltro, sempre nel Vecchio Continente, le società non pagano nemmeno l’Iva (che sugli ebook è al 21%). Anche se di questo si avvantaggiano anche gli editori locali che vendono sulle piattaforme online.
Gli «Over the tax» ed Eric Schmidt in primis (presidente di Google) si difendono dicendo che applicano le leggi degli Stati. Peccato che queste regole fossero state pensate, prudentemente, per evitare la doppia tassazione. Non per annullarla quasi del tutto.
Massimo Sideri
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