by Sergio Segio | 13 Settembre 2013 6:50
WASHINGTON — «Questo non è un gioco e l’ho detto al mio amico Sergej». Non poteva essere più chiaro il segretario di stato John Kerry. Parole pronunciate rivolgendosi al collega russo Lavrov al termine della prima giornata di incontri sulla crisi siriana a Ginevra.
Il capo della diplomazia Usa ha indicato che il «tempo delle parole è finito» e che servono «fatti» verificabili, rammentando anche che l’opzione militare non è stata ancora abbandonata. Per Kerry il summit è il primo test per esaminare la reale volontà di Assad di mettere sotto il controllo Onu il suo arsenale chimico. Un’analisi che sarà fatta insieme a un team di una trentina di tecnici del disarmo che porranno domande e esamineranno le carte russe. Lavrov, da parte sua, ha confermato la volontà di raggiungere un compromesso, ma ha anche sottolineato che l’uso della forza non è più necessario. Fonti americane hanno aggiunto che nei contatti la delegazione arrivata da Mosca avrebbe fornito dettagli interessanti, anche se lo scetticismo resta intatto. E Kerry ha respinto l’idea, suggerita da Assad, che gli elementi cruciali sull’arsenale siano consegnati entro 30 giorni o anche di più. Secondo il quotidiano russo Kommersant il piano ideato da Mosca prevede quattro punti: 1) La Siria firma la Convenzione sul bando delle armi chimiche. Atto che Assad ha annunciato che arriverà a breve. 2) Damasco fornirà all’Onu i dettagli del suo arsenale. 3) Partiranno le ispezioni dell’Onu e la «raccolta». 4) L’eventuale distruzione dell’arsenale. Oppure, in alternativa, la messa in sicurezza con un’azione congiunta Usa-Russia.
In una intervista ai media russi il presidente siriano ha rinnovato la disponibilità a cedere le armi proibite e ha trasmesso al segretario dell’Onu il decreto dove si impegna a rispettare la Convenzione internazionale. Nel contempo, però, Assad ha posto due condizioni: gli Usa devono cessare le minacce e occorre bloccare le forniture di materiale bellico ai ribelli. Quanto alla strage del 21 agosto nel sobborgo di Damasco, la teoria è la solita. A usare i gas sono stati gli insorti. Invece indiscrezioni, trapelate dal Palazzo di Vetro, affermano che secondo gli ispettori Onu vi sono indizi solidi sulla colpevolezza del governo.
Molti interrogativi riguardano la sicurezza per il personale delle Nazioni Unite chiamato a operare in Siria. Missione pericolosa visto che è in corso una guerriglia. E poi ci sono i ribelli, spesso dimenticati in questa fase diplomatica. Il generale Salim Idris, uno dei capi militari degli insorti, ha bocciato la proposta del Cremlino. A suo dire il regime avrebbe iniziato a spostare i gas dalla Siria in Libano e in Iraq. Accusa tutta da verificare.
Con un evidente tentativo di lanciare un messaggio ai russi, la Casa Bianca ha passato ai giornali la notizia che la Cia, da due settimane, ha iniziato a consegnare agli insorti armi leggere, munizioni, radio, kit medici. Nel «pacchetto» d’aiuti, inviato attraverso un Paese terzo (Giordania o Turchia), non vi sarebbero sistemi controcarro e missili antiaerei per il timore che finiscano ai gruppi vicini ad Al Qaeda. Le rivelazioni hanno suscitato la reazione scettica del generale Idris: «Non abbiamo visto ancora nulla». Per gli osservatori le armi promesse dagli Usa non hanno un grande impatto militare, sul terreno è pieno di fucili. Però è evidente il messaggio politico spedito al Cremlino. Se Damasco dovesse adottare le temute tattiche dilatorie, gli Usa, oltre al minacciato raid, possono ampliare il sostegno all’opposizione.
Guido Olimpio
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