La «melina» dei partiti per non perdere i finanziamenti pubblici

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Ma la decisione di ricominciare l’iter dalla commissione Affari costituzionali almeno un risultato l’ha ottenuto, oltre a quello di alzare l’ennesimo pallonetto a Beppe Grillo che dal suo blog accusa: «Restituite il malloppo». Finalmente è caduto il velo di ipocrisia che ha circondato fin dall’inizio la proposta del governo di Enrico Letta. E si è finiti, com’era ipotizzabile, nel pantano. La verità è che questa presunta abolizione del finanziamento pubblico, dopo il sacrificio imposto ai partiti scorso anno con il dimezzamento degli scandalosi rimborsi elettorali, risulta indigesta a tutti. Indigesta per il centrosinistra, che pure ha fatto culturalmente passi da gigante dal punto di partenza, per esempio affidando la certificazione dei bilanci a un revisore esterno, principio poi reso obbligatorio per legge: i problemi economici a mantenere strutture come quelle del Pd ci sono eccome. E non va affatto giù neppure al centrodestra, nonostante il suo leader Silvio Berlusconi sia stato il più lesto a cavalcare l’onda dell’abolizione del finanziamento in campagna elettorale. Sotto i suoi governi il finanziamento pubblico dei partiti è cresciuto a dismisura, con leggine approvate da tutti quelli che ora le hanno bollate come vergognose. Per una curiosa coincidenza, proprio mentre il parlamento era alle prese con questo provvedimento, procedeva in pompa magna l’allestimento della nuova sontuosa sede di Forza Italia in piazza San Lorenzo in Lucina, a Roma. Con descrizioni da Mille e una Notte. Così l’obiettivo di ciascuno è diventato quello di limitare i danni, se non mettere in difficoltà l’avversario. O magari salire sul trenino di quella legge per portare a casa qualche indecente furbizia. Ecco quindi spuntare dal fronte del Popolo della libertà un emendamento per depenalizzare il reato di illecito finanziamento ai partiti, la buccia di banana sulla quale sono scivolate legioni di parlamentari e di piccoli ras locali azzurri. Un’idea che ha però fatto insorgere i deputati del Partito democratico, i quali la considerano semplicemente irricevibile: anche perché i suoi elettori, già poco inclini alla comprensione di qualche umana debolezza democratica, li spellerebbero vivi. Allora è il Pd che insiste perché venga messo un tetto ai finanziamenti privati, con la motivazione che senza un limite ai contributi i partiti possano essere preda dei condizionamenti: fosse di una multinazionale, di qualche finanziaria, o semplicemente di un riccone. E come sempre capita, appena fanno una mossa i democratici trovano subito qualcuno pronto a scavalcarli a sinistra. Spunta così, dalle parti di Sinistra, ecologia e libertà, la proposta di vietare di contribuire finanziariamente alla vita politica di un partito a coloro che hanno riportato una condanna in via definitiva per reati gravi. Emendamento «ad personam», visto che individuare l’obiettivo è un gioco da ragazzi. Trattasi di Silvio Berlusconi, reduce dalla mazzata che gli ha appena assestato la Cassazione: quattro anni per frode fiscale, con tutto ciò che ne consegue. Inutile dire che nessuna di queste proposte ha la minima possibilità di passare. Perciò si riparte dal via, per un altro giro che dà speranze solo agli inguaribili ottimisti. Nell’attesa che il tempo passi, e che magari con tutto quello che c’è da fare (e soprattutto da dire) quella legge già pasticciata in partenza finisca definitivamente spiaggiata. La lista dei precedenti è lunghissima: il dimezzamento dei parlamentari, l’abolizione delle Province… Anche su quelle cose, alla pari della presunta abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, non giuravano (quasi) tutti di essere d’accordo?
Sergio Rizzo


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