Tesoro al lavoro sul documento di stabilità
ROMA — La preoccupazione della Banca centrale europea sulla capacità di tenere il deficit sotto il 3% è «condivisa» dal ministero del Tesoro che in questi giorni sta lavorando ventre a terra per presentare venerdì prossimo in Parlamento la nota di aggiornamento al Def. Gli uomini di Fabrizio Saccomanni mostrano cautela, sono coscienti di ballare al limite del 3% ma hanno la responsabilità di ammettere che per loro la nota della Bce «non è un fulmine a ciel sereno». L’unica consolazione, forse davvero piccola, è che le parole di Francoforte fanno parte di un ragionamento su tutta l’eurozona, non si tratta insomma di una «uscita ad hoc solo per l’Italia». La sicurezza con cui l’altro giorno in Confindustria Saccomanni ha garantito il rispetto del 3% come base reputazionale sulla quale si costruirà il semestre italiano di presidenza della Commissione, lascia pensare che il tesoretto di cui si è parlato nelle settimane scorse derivante da una imprevista discesa dei tassi di interesse sia forse maggiore dei 9-10 miliardi di euro calcolati dagli analisti.
«I rischi di uno sfondamento del rapporto deficit-Pil sono ben chiari al governo — ha commentato ieri il ministro del Lavoro Enrico Giovannini — per questo abbiamo previsto la clausola di salvaguardia e un monitoraggio strettissimo da parte del ministero dell’Economia». Cruciale sarà la lettura della nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Def) scritto sulla base di una stima di riduzione del Pil dell’1,3% purtroppo peggiorato all’1,6-1,7% in questi mesi. I tecnici di via Venti Settembre ricalcoleranno il totale delle entrate e delle uscite e la nota assumerà, in virtù della sua funzione da ultimo preconsuntivo su 8 mesi di consolidato alle spalle, l’architrave contabile sulla quale si costruirà politicamente la legge di Stabilità che dovrà essere pronta entro il 15 di ottobre per essere presentata in Parlamento e a Bruxelles.
I numeri e la politica. La Banca centrale europa non ha mancato di osservare come gli elementi che stanno facendo vacillare il rispetto del 3% sono la mole dei miliardi sdoganati per rimborsare le imprese dai crediti pregressi della Pubblica amministrazione (circa 50 miliardi entro il 2014) e gli ultimi provvedimenti per far saltare il pagamento dell’Imu sulla prima casa e lo slittamento dell’aumento dell’Iva dal 21 al 22%. Saccomanni sia a Cernobbio che in Confindustria ha fatto capire come intende muoversi per racimolare le risorse che gli servono per rispettare gli impegni europei e nello stesso tempo per avviare la fase «sviluppista» con il taglio del cuneo fiscale come chiesto dai sindacati e dalle imprese nel Patto di Genova e promesso dal premier Enrico Letta al G20 di San Pietroburgo. Si tratta di giocare un nuovo affondo nella spending review con la nomina di una task force in grado di far dialogare i ministeri competenti, l’Istat, la Banca d’Italia e la Corte dei conti. E di riprogettare la valanga di agevolazioni fiscali secondo le indicazioni che in questi giorni stanno arrivando dalla commissione guidata dall’ex Bankitalia Vieri Ceriani.
Tempo per agire non ce n’è molto ma la sicurezza con cui si sta muovendo il ministro, in totale sintonia con gli gnomi di Francoforte e di Bruxelles, dimostra che i margini per stare sotto il 3% ci sono. Confindustria a giugno aveva ipotizzato uno sbandamento verso 3,2-3,4% e in questi giorni gli analisti di Citigroup vedono il rapporto ormai vicino al 4%. Scherzando ma mica tanto, Saccomanni l’altro giorno ha ricordato che il suo sbarco a Palazzo Chigi gli ha fatto capire che «la politica è la ricerca dell’impossibile più che l’arte del possibile», ma il suo compito è quello di farle coincidere, di far quadrare il cerchio. Per essere presente alla quadratura il capogruppo alla Camera del Pdl Renato Brunetta ha chiesto per l’ennesima volta a Letta di convocare la cabina di regia per le scelte economiche.
Roberto Bagnoli
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