La crisi siriana arriva all’Onu Ma è scontro fra Usa e Russia
PARIGI — Sembra la scena di un film: i poliziotti puntano le armi sul bandito asserragliato e gridano «tu consegna l’ostaggio e noi non ti spareremo», e quello risponde «no, prima voi gettate le armi, poi io consegno l’ostaggio». Chi, tra gli occidentali e la Siria protetta dalla Russia, vincerà il braccio di ferro (magari salvando la vita dell’ostaggio, cioè il popolo siriano)?
Con la regia di Putin, grande protagonista di questa fase diplomatica, la crisi approda finalmente all’Onu per la soddisfazione e il sollievo di tutta la comunità internazionale, che però torna subito a dividersi sull’uso della forza (cioè il punto di partenza del dissidio tra Mosca e Washington-Parigi).
Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna accettano la proposta della Russia di mettere sotto controllo internazionale e poi distruggere l’arsenale chimico del dittatore siriano Bashar al Assad, ma vogliono presentare al Consiglio di sicurezza una risoluzione in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, quello che contempla il ricorso alle armi qualora le decisioni non vengano rispettate. «Vogliamo tenere aperte tutte le opzioni» compresa quella militare, ripete il presidente francese François Hollande dopo la telefonata di ieri pomeriggio con Barack Obama.
Anche la Russia dice di volere il disarmo del suo protetto Assad, ma prima pretende che Stati Uniti e Francia rinuncino alla minaccia dei bombardamenti su Damasco: Mosca presenterà quindi al Consiglio Onu una propria risoluzione, che avrà il probabile appoggio della Cina, e che esclude l’uso della forza contro la Siria.
Chi vincerà? Cominciano ora giorni molto delicati di trattative diplomatiche perché nessuno può permettersi di perdere la faccia, ma la svolta decisa da Putin lunedì — proporre il controllo internazionale delle armi chimiche siriane — in poche ore ha cambiato i rapporti di forza. La Russia sembra ora padrona della situazione, perché ha ottenuto l’immediato sì della Siria al piano di disarmo, e ha tolto così a Obama e Hollande l’argomento principale per l’attacco, cioè evitare che Assad ripeta una strage come quella del 21 agosto (centinaia di morti, tra i quali molti bambini).
L’intervento militare di Stati Uniti e Francia contro il regime siriano, che sabato 31 agosto sembrava imminente, continua a essere rimandato. Prima la decisione a sorpresa di Obama di chiedere il voto del Congresso, poi la scelta di Hollande di attendere il rapporto degli ispettori Onu, infine il nuovo, inaspettato passaggio diplomatico all’Onu: in sostanza i raid occidentali non partono, proprio come volevano Putin e Assad, che rinfrancato dagli ultimi sviluppi ieri sera è tornato a massacrare il suo popolo bombardando i quartieri ribelli di Damasco.
E se il presidente americano Obama nei giorni scorsi si è detto convinto della necessità di intervenire ma al tempo stesso è apparso riluttante, Amleto alla Casa Bianca, quello francese Hollande si era sbilanciato molto di più: il 27 agosto l’Eliseo parlava bellicosamente di «punire» Damasco «nei prossimi giorni». Siamo all’11 settembre, e al Palazzo di Vetro si dovrebbe cominciare a discutere di come avviare un disarmo chimico siriano che secondo gli esperti potrebbe richiedere 10 anni. La riunione di emergenza chiesta dai russi è stata improvvisamente annullata ieri sera per volere di Mosca, dopo che la durissima proposta di risoluzione ipotizzata dal ministro degli Esteri francese Laurent Fabius è stata definita «inaccettabile» dall’omologo russo Sergey Lavrov. Lo scontro, insomma, è ancora in atto.
La Francia cerca di mascherare il momento di difficoltà prendendosi il merito della svolta diplomatica: «La fermezza paga, è merito della nostra determinazione se da Russia e Siria sono arrivate all’ultimo momento queste aperture diplomatiche», dice Fabius, e in parte ha ragione.
Il regime siriano ora accetta ciò che ha sempre rifiutato, persino di aderire alla Opcw (Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche). Ma intanto, grazie a Putin, Assad guadagna tempo prezioso per la propria sopravvivenza.
Stefano Montefiori
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