Sedici dal Pdl e otto dal M5S I «riservisti» pronti al bis

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ROMA — «Presidente, guarda che i numeri per una nuova maggioranza al Senato ci sono già». Silvio Berlusconi se l’è sentito ripetere più volte, negli ultimi giorni. L’ha ascoltata pazientemente a più riprese, la storia del nuovo fronte che potrebbe nascere a Palazzo Madama nel caso in cui lui staccasse la spina. Soltanto che ieri mattina, dopo un rapido consulto interno al gruppo pidiellino del Senato, il calcolo s’è fatto ancora più preciso. E l’indicazione inviata ad Arcore ancora più delineata: «Almeno 16 senatori del Pdl e 8 del Movimento Cinquestelle uscirebbero dai rispettivi gruppi per sostenere un governo che allontani definitivamente lo spettro delle elezioni anticipate». E già da soli, uniti ai 137 senatori (senza contare il presidente Piero Grasso) del blocco Pd-Scelta civica e ai quattro ex grillini che oggi si trovano nel Gruppo misto (Fabiola Antinori, Paola De Pin, Adele Gambaro e Marino Mastrangeli), basterebbero per tirar su una nuova maggioranza. A cui si aggregherebbero, senza neanche avere il tormento di risultare indispensabili, i quattro nuovi senatori a vita nominati la settimana scorsa dal capo dello Stato.
Quando da Arcore hanno chiesto lumi su cui fossero i 16 possibili transfughi del Pdl, la prima risposta arrivata da Roma è stata di quattro parole: «Innanzitutto, la valanga siciliana». E cioè la pattuglia di cui farebbero parte, condizionale d’obbligo, Salvatore Torrisi, Bruno Mancuso, Marcello Gualdani, Pippo Pagano, Giuseppe Ruvolo e Francesco Scoma. Tra di loro, è la spiegazione che è stata data anche a Berlusconi, c’è anche chi mesi fa s’è dimesso dall’Assemblea regionale siciliana per tentare la fortuna verso un posto al sole del Senato. «Ed è stato un colpo di fortuna che non ricapiterà mai più. Visto che», come recitano i messaggi cifrati che da Roma hanno raggiunto Arcore, «nel caso in cui si andasse alle elezioni anticipate e il centrosinistra candidasse Renzi, il sindaco di Firenze, che nell’Isola s’è rafforzato moltissimo, potrebbe avere già in tasca il premio di maggioranza in Sicilia». Con tanti saluti agli attuali eletti che, in quel caso, rimarrebbero tagliati fuori anche nel caso di ricandidatura.
Il coordinatore del Pdl siciliano Giuseppe Castiglione, che «controlla» molti di questi senatori siciliani, lo lascia intendere senza troppi di giri di parole. «La crisi di governo non ci deve essere. Questo Paese, adesso, non può permetterselo».
Ma non c’è solo la «valanga siciliana». Anche nel Pdl campano si registra l’insofferenza verso la crisi di governo di senatori che rispondono ai nomi di Antonio Milo, Pietro Langella e Ciro Falanga. Senza dimenticare le fughe in avanti verso un «Letta bis» già messe a verbale da Domenico Scilipoti. Tutte persone che, in caso di fine anticipata della legislatura, difficilmente si ritroverebbero al Senato dopo il voto. Come molti degli eletti del centrodestra che hanno trovato riparo nel gruppo «Grandi autonomie e libertà» (Gal), di cui fa parte il cossighiano calabrese (eletto con la Lega) Paolo Naccarato, il primo a parlare apertamente di nuove maggioranze.
Diverso il discorso che riguarda il più celebre degli iscritti al gruppo «Gal». Che si chiama Giulio Tremonti. Per quanto non veda di buon occhio la fine anticipata della legislatura, l’ex ministro dell’Economia avrebbe spiegato a più di un amico che «non perderò la mia coerenza». Traduzione: non ha votato la fiducia al governo Monti, non l’ha votata al governo Letta e, di conseguenza, non la voterebbe neanche a un eventuale «Letta bis». Al contrario dei sei senatori Cinquestelle che, stando ai calcoli del Pdl, seguirebbero i «dialoganti» Alberto Orellana e Lorenzo Battista verso una nuova maggioranza.
Già, ma quale maggioranza? Dentro il Pd escludono che Letta si faccia carico di formare un governo che, per dirla col deputato Gero Grassi, «si poggerebbe su qualche Scilipoti». Se il margine fosse minimo, i Democratici si limiterebbero a cercare la strada di un governo che si ponga due soli obiettivi: legge di Stabilità e riforma elettorale. A quel punto, il nome in pole position per guidare un governo-lampo, secondo l’esponente ex ppi, sarebbe quello del presidente del Senato Pietro Grasso. Sempre che il pallottoliere di Palazzo Madama non spinga Berlusconi a tentare l’ennesima mediazione. E ad evitare la crisi. Anche ai tempi supplementari.
Tommaso Labate


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