Rodotà: “Conservatori? Sulla Costituzione sì” E Landini minaccia l’occupazione delle fabbriche

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ROMA — «Né una zattera per naufraghi né un onorato rifugio per reduci di battaglie perse». Stefano Rodotà lo mette in chiaro da subito: davanti a 300 persone stipate in una sala congressi romana a metà strada tra la stazione Termini e l’università La Sapienza, il giurista battezza così l’assemblea “aperta” convocata insieme al presidente di Libertà e Giustizia, Gustavo Zagrebelsky, al leader della Fiom, Maurizio Landini, alla costituzionalista Lorenza Carlassare e al fondatore di Libera, don Luigi Ciotti.
E se il Professore sa bene come non dovrà concludersi il percorso tracciato ieri, più difficile è immaginare l’approdo finale. Quel che è certo, per ora, è che la bussola sarà la Costituzione e la prima tappa è già fissata: appuntamento il 12 ottobre a Roma per una manifestazione. Per adesso c’è un documento, “La via maestra”, che nel frattempo verrà dibattuto in varie città mentre si apre la discussione in Parlamento sulle riforme costituzionali. Un disegno di legge che preoccupa i 5 firmatari del manifesto, convinti che la Carta vada «applicata e non modificata». E pazienza se si passa per «conservatori», come ieri Enrico Letta ha definito quelli che non vogliono mettere mano al bicameralismo o al numero di deputati e senatori.
«L’argomento del premier è capzioso — contrattacca Rodotà — perché si poteva iniziare da lì, senza puntare alla tortuosa modifica del 138 (l’articolo che determina le possibili revisioni della Carta, ndr). Ma se si tratta di difendere i principi della Costituzione allora sì, siamo assolutamente conservatori». Ad ascoltarlo, in platea, c’è soprattutto la sinistra rimasta fuori dal Parlamento. C’è il segretario di Rifondazione Paolo Ferrero e il leader di Azione Civile Antonio Ingroia. In due punti distanti della sala ci sono anche gli ex portavoce del Genoa Social Forum per il G8 del 2001, Vittorio Agnoletto e Luca Casarini. Passa Nichi Vendola che, però, resta defilato e non interviene.
Per il Pd si vedono Corradino Mineo e Vincenzo Vita. Quando tocca a quest’ultimo spiega di essere ancora «iscritto al Pd» e in tanti rumoreggiano. «Un errore — dirà poi Rodotà — non dobbiamo chiuderci nella nostra autoreferenzialità ». Al contrario, si applaude quando Landini avverte: «Non siamo più disponibili a firmare accordi che chiudano le fabbriche. Metteremo in campo gesti di difesa totale dei posti di lavoro.
Se necessario, anche con l’occupazione delle fabbriche».
L’altro applauso fragoroso lo incassa Paolo Flores D’Arcais, fondatore di Micromega: «Se fra qualche mese l’unica alternativa elettorale si chiamerà Matteo Renzi, allora vorrà dire che Berlusconi avrà vinto». Nella sala si vedono molti capelli bianchi, diversi trentenni, qualche maglietta di Che Guevara e tanti che 2 anni fa hanno partecipato alla vittoria dei referendum sull’acqua. «È da lì che bisogna ripartire — ricorda Rodotà — per fare “massa critica”. Parlare adesso di struttura organizzativa sarebbe letale e intempestivo. Sinistra Arcobaleno e Rivoluzione civile sono stati due fallimenti. Noi ci proponiamo di incidere sulla politica in modo diverso ». In platea sono avvisati.


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