by Sergio Segio | 9 Settembre 2013 7:53
ROMA — Cos’è la timidezza? Una malattia o un normale aspetto del carattere di una persona? Il sesto mercato mondiale per consumo di farmaci, quello italiano, si alimenta anche di ambiguità. E si finisce a curare tratti della personalità e fasi fisiologiche della vita, come appunto la timidezza, il lutto, la gravidanza o la menopausa.
Tutti “problemi” a cui sono state dedicate intense giornate di sensibilizzazione. Che, dati alla mano, hanno portato all’aumento di psicofarmaci ed esami medici. E lo stesso effetto hanno i ritocchi al ribasso dei fattori di rischio, o le operazioni di maquillage su vecchi principi attivi: prassi che escono dalla catena di montaggio della fabbrica delle malattie.
In media un italiano si porta a casa 28 confezioni di farmaci all’anno. Dal 2005 a oggi il consumo di medicinali è cresciuto del 20 per cento e la spesa farmaceutica delle Asl nello stesso periodo è aumentata anche di più, cioè del 33 per cento (sul dato pesano i farmaci ospedalieri). È così che l’Italia, con un esborso pubblico e privato di 27 miliardi di euro all’anno, si piazza al sesto posto nel mondo per consumo di pillole, fiale, sciroppi e quant’altro, secondo l’ultima analisi di settore fatta da Federfarma. Anche prima del Brasile, che però ha 193 milioni di abitanti. O della Gran Bretagna, che ne ha 64 milioni.
Perché? Siamo forse un popolo più malato degli altri? No, siamo vittima più di altri del disease mongering, cioè della commercializzazione delle malattie. Ci fanno sentire tutti malati. E dunque, bisognosi della pillola giusta.
Ora, a meno di non essere un popolo di stitici a tempo determinato, è singolare che la “settimana nazionale della stipsi”, organizzata con grande enfasi e impegno in Italia per tre anni dal 2005 al 2007, si sia bruscamente interrotta quando la Pfizer, il colosso americano della farmaceutica, si è vista limitare l’uso del suo “tegaserod” a casi molto gravi. La decisione della Food and Drug administration americana significava per Pfizer non poter vendere il prodotto contro la stipsi al grande pubblico europeo. E, casualmente, la campagna si bloccò.
Del resto la legge italiana vieta di fare pubblicità ai farmaci di classe A, quelli per cui è necessaria la prescrizione e sono rimborsati dal sistema sanitario. Per le aziende è più conveniente girarci intorno. Infatti è legale “promuovere” la malattia o il disturbo. Con alcune accortezze, per evitare l’accusa di fare falsa informazione. Per esempio nell’ormai famoso spot di sensibilizzazione sul problema dell’eiaculazione precoce, quello con i due fiammiferi che si accendono sul letto (uno molto prima dell’altro), non si parla di malattia ma di «condizione medica», definizione volutamente generica. Sul sito organizzato per la campagna (www. benesseredicoppia. it), messo in piedi esplicitamente «con il supporto di Menarini » , c’è l’endorsement
non solo delle società scientifiche di andrologi e urologi, ma anche di quella, potentissima, dei ginecologi, pur trattandosi di un problema maschile. E lo sponsor è proprio la grande azienda farmaceutica toscana, che ha acquistato i diritti per vendere l’unico farmaco esistente sul mercato per allungare i rapporti sessuali. Un caso?
A volte basta riuscire a ritoccare al ribasso i fattori di rischio di alcune malattie per vendere milioni di confezioni in più. Per esempio, negli anni Sessanta la soglia dell’ipertensione era fissata sopra 160-90, negli anni Novanta 140-90, oggi sopra i 120-80. Il valore di trigliceridi nel sangue considerato eccessivo nel 2003 è passato da 200 milligrammi per decilitro a 150. E il colesterolo? Da 240 è sceso a 200. Ogni spostamento crea la domanda. Il trucco sta proprio nel confondere volutamente queste due condizioni, la malattia e il fattore di rischio. Come per l’osteoporosi. «Pochi sanno che in realtà non è una malattia — spiega Giovanni Peronato, reumatologo dell’associazione “No grazie pago io”, impegnata da anni nello smascherare i conflitti di interesse tra medici e industria — è un fattore di rischio, che può portare alla patologia, che in questo caso è la frattura. Lo stesso rapporto esiste tra colesterolo e l’infarto». Non è una roba solo per tecnici, perché uno degli effetti di questa confusione è che le soglie vengono abbassate o alzate senza troppi problemi o verifiche. Con il paradosso, infatti, che oggi curiamo la pre-ipertensione, il pre-diabete, la preosteoporosi.
Per vendere si fanno anche operazioni di svecchiamento su prodotti con brevetti scaduti: basta modificare leggermente le molecole del principio attivo, così si possono registrare medicine datate come fossero nuove. Altra prassi è quella di aggiungere un agente che ne rallenta l’assorbimento, trasformandolo così in “retard” e presentarlo come innovativo. Tutto pur di far crescere i fatturati. Perché la fabbrica delle malattie non chiude mai.
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