Anche la Germania si «schiera» con gli Usa. Con prudenza

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PARIGI. Gli europei evitano di mostrare troppo chiaramente le divisioni sulla Siria e con un comunicato ambiguo nascondono sotto il tappeto punti di vista che restano profondamente divergenti sull’eventualità di una punizione militare contro il regime di Assad.
Dopo il G20 a San Pietroburgo, i ministri degli esteri dei 28 paesi dell’Unione europea si sono ritrovati per una riunione informale a Vilnius, capitale della Lituania, paese che assicura la presidenza semestrale a rotazione del Consiglio Ue. Il segretario di stato Usa, John Kerry, vi ha eccezionalmente partecipato e ha promesso che riporterà a Obama le «raccomandazioni» (di prudenza) espresse dagli europei. Il rinnovato pressing di Kerry e del ministro francese Laurent Fabius è riuscito soltanto a portare a casa un documento che preconizza una «risposta forte e chiara» all’attacco chimico avvenuto in Siria il 21 agosto scorso. Un testo che riprende a grandi linee quello presentato dagli Usa e firmato da 11 paesi (tra cui l’Italia) alla conclusione del G20, dove è stata auspicata una «forte risposta internazionale», ma senza fare nessun riferimento a un’eventuale intervento armato.
Usa e Francia sono riuscite ieri a convincere la Germania a firmare questo documento di San Pietroburgo, mentre la vigilia Berlino era stato il solo paese della Ue al G20 a non sottoscriverlo. A Vilnius il massimo che hanno concesso i 28 è considerare che ci siano «forti presunzioni» per attribuire la responsabilità dell’attacco chimico al regime di Assad. Ma nulla di più. La Francia interpreta però il testo dei 28 come un tiepido via libera dei partner della Ue a una partecipazione di «volontari» a fianco degli Usa. L’Alta rappresentante per la politica estera della Ue, Catherine Ashton, si è premurata di richiamare al rispetto della legalità internazionale, sottolineando di nuovo «l’importanza» di aspettare il rapporto degli esperti dell’Onu. La vigilia, messo con le spalle al muro a causa dell’isolamento della Francia, anche Hollande aveva annunciato, a sorpresa, che Parigi avrebbe aspettato il rapporto – e il voto al Congresso Usa – prima di prendere iniziative militari.
La Francia fa sapere però di non attendersi molto da questo rapporto, anche perché il mandato degli esperti Onu era di stabilire solo se c’era stato un attacco chimico – cosa che ormai nessuno nega – e non di attribuirne la responsabilità. Secondo i francesi, il rapporto Onu dovrebbe venire reso noto verso il 17-18 o 19 settembre, in anticipo rispetto al previsto, ma ben al di là della settimana prossima considerata da alcuni come un possibile momento di scatenamento dell’attacco contro Damasco. Lo ha confermato anche Jean Asselborn, ministro degli esteri del Lussemburgo, paese che in questo periodo è membro non permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu, secondo il quale il rapporto arriverà «tra una settimana e mezza». Asselborn ha riassunto le reticenze della maggioranza degli europei e le loro diffidenze: ha invitato ad evitare «l’immagine dell’Iraq, con un ministro che poi viene più tardi a confermare di non aver detto la verità». Per Asselborn, «quando si colpisce militarmente, la soluzione politica diventa molto difficile».
Anche il documento dei 28 insiste sulla «soluzione politica», cioè sulla necessità di convocare una nuova conferenza di pace (la prima è stata praticamente inesistente) per arrivare a una soluzione durevole della crisi siriana. Gli europei restano profondamente divisi, malgrado i due documenti firmati in questi giorni. 


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