Il «partito della crisi» comincia a temere di essere sconfitto

by Sergio Segio | 7 Settembre 2013 6:50

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E probabilmente ha anche ridato ossigeno a quanti nel Pd cominciavano a rassegnarsi a una sequela di fallimenti che partirebbe con la caduta di Enrico Letta e approderebbe all’incoronazione di Matteo Renzi segretario e candidato premier. Il nervosismo più palpabile rimane nel Pdl e si concentra sulla riunione della giunta delle elezioni di lunedì: quella che al Senato dovrà decidere sulla decadenza del Cavaliere da parlamentare. Per scongiurarla si sono susseguite minacce e pressioni di ogni tipo.
Nessuno lo dice apertamente, ma la strategia è quella di prendere tempo il più possibile: almeno per arrivare a metà ottobre e archiviare i rischi di elezioni immediate. L’epilogo per Berlusconi appare segnato, dopo la sentenza di condanna della Corte di cassazione. Ma l’apertura di credito di Giorgio Napolitano nei suoi confronti sta creando un clima meno diffidente. Pier Ferdinando Casini, capo dell’Udc, sostiene che concedere la grazia a Berlusconi «non sarebbe una cosa così singolare». E aggiunge che se sarà votata la decadenza sarà necessario «un supplemento di moderazione. Non è una decapitazione che si possa fare a cuor leggero». Laconico, il ministro delle Riforme, Gaetano Quagliariello, ammette che il governo «sta meglio di 48 ore fa».
Il presidente della Repubblica commenta con un filo di ironia la sensazione generale che la crisi possa essere evitata. «Mi fa piacere che si veda una situazione rasserenata» dice. La verità è che la percentuale di quanti non vogliono il collasso della coalizione Pd-Pdl-Scelta Civica è più alta di quanto sembri. E per una serie di motivi interni e internazionali. Il primo è che la crisi non porterebbe alle urne, perché il Quirinale cercherebbe di fare emergere una nuova maggioranza. E i numeri al Senato, fra transfughi e dissidenti, hanno fatto capire al Pdl che l’azzardo si potrebbe tradurre in una sconfitta disastrosa.
Il vicepremier Angelino Alfano evoca questo scenario. Qualunque governo senza il Pdl «sarebbe inevitabilmente di estrema sinistra», spiega per perorare la causa di un approfondimento delle carte giudiziarie che riguardano Berlusconi, prima di votare la decadenza. E assicura a Napolitano che la sua fiducia nel senso di responsabilità di Berlusconi «è ben riposta: da due anni sostiene governi non guidati né da lui né da esponenti del Pdl». Ma forse, esiste anche una ragione più prosaica: invece di ufficializzare il potere di vita e di morte del centrodestra sulla legislatura, una crisi prometterebbe di mostrarne la debolezza; e perfino di aprire qualche crepa parlamentare in un Pdl condannato a ridiventare Forza Italia. E comunque, chi decidesse di scaricare sull’Italia i problemi giudiziari di Berlusconi, pagherebbe un prezzo proibitivo agli occhi dell’opinione pubblica italiana e a livello internazionale.
L’Italia rischierebbe di andare a rotoli in una fase a dir poco delicata. Non si tratta di puntellare Letta in quanto tale, ma un equilibrio difficile da scardinare e poi da ricostruire. Il sostegno a Palazzo Chigi arrivato ieri da Cernobbio, dove si riuniscono i vertici della finanza e dell’economia italiana, è figlio di questo timore. Come lo sono le garanzie di stabilità politica che al G20 di San Pietroburgo il presidente del Consiglio si è premurato di offrire. La sproporzione fra gli ultimatum dei settori più oltranzisti del Pdl e la gravità dei problemi che il Paese fronteggia, ha spinto i berlusconiani più responsabili a suggerire prudenza al Cavaliere. In modo forse un po’ sbrigativo, il presidente del Senato, Piero Grasso, invita a occuparsi non tanto della sorte parlamentare di una persona

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