Il governo a rischio caduta? Per gli imprenditori pesa più della guerra in Medio Oriente

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CERNOBBIO — Se anche di fronte alle ombre sempre più scure sullo scenario siriano gli imprenditori e i banchieri riuniti a Cernobbio dichiarano di temere di più la crisi di governo, il segnale alla politica è forte e chiaro: troppo acerbi i segnali di ripresa dopo anni di crisi e «un Pil sceso del 10% in cinque anni» — dice il presidente di Telecom, Franco Bernabè — perché l’Italia possa permettersi una crisi politica, per di più al buio. Oggi è atteso al summit sul lago di Como il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, mentre domani dovrebbe arrivare il premier Enrico Letta. Affronteranno una platea di oltre duecento partecipanti al tradizionale workshop di Ambrosetti, che per il 33,7% ritengono proprio la «caduta del governo» lo scenario più preoccupante. La Siria è solo al secondo posto (28,3%), accanto ai rischi geopolitici del Medio Oriente (26,1%) mentre la frenata cinese e il taglio della liquidità in Usa scivolano in fondo alla classifica. La preoccupazione è ancora più forte anche perché il 55% degli intervistati si dichiara pronto ad aumentare gli investimenti o a mantenerli stabili (il 28,4%) e una crisi di governo potrebbe compromettere i programmi. Tuttavia non tutto appare perduto: l’81% (sondaggio Ansa) non ritiene che il governo cadrà sulla decadenza di Silvio Berlusconi. Ma basta l’incertezza a creare problemi. E questo nonostante nel merito delle scelte del governo gli imprenditori boccino (per il 62%) l’abolizione dell’Imu.
«Ciò che i mercati temono più di ogni altra cosa è l’instabilità politica», spiega Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e prestiti. «Se il differenziale tra i Btp e i Bonos spagnoli si è invertito sui titoli più a breve termine, non è perché l’economia spagnola stia meglio: è perché in Spagna c’è più stabilità politica. Una crisi impedirebbe le riforme che servono ad attrarre gli investimenti». Bassanini cita il decreto che consente alla Cdp di offrire una garanzia sui mutui per la prima casa: «Quella norma deve essere convertita sennò non può partire». Anche l’economista Nouriel Roubini ne è certo: «La crisi sarebbe dannosa per l’immagine dell’Italia sui mercati».
I banchieri sono sulla stessa linea. Federico Ghizzoni, numero uno di Unicredit: «Mi aspetto che tutti i partiti avvertano la responsabilità: la condizione della ripresa è la stabilità politica». Ancora più preoccupato è Fabrizio Viola, amministratore delegato di Mps: «Una crisi di governo non è neanche da prendere in considerazione. È l’ultima cosa che ci possiamo permettere». Anche un imprenditore come Alberto Bombassei, presidente di Brembo (e deputato di Scelta Civica) è netto: «Il Paese non si può permettere di pagare un prezzo così alto. C’è bisogno di continuità e la grande coalizione è una formula che tutto sommato funziona”. Per il finanziere di Algebris, Davide Serra, sostenitore di Matteo Renzi, «è giusto che Letta vada avanti con le riforme. Ma se si finisce in stallo, allora meglio andare a votare. Ma non con questa legge elettorale». Pure l’ex presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, sottolinea l’urgenza delle riforme strutturali, che però richiedono che «sia superata l’instabilità politica». Pochi i distinguo in questo appello corale ai partiti: uno è quello di Claudio Costamagna, presidente di Impregilo: «Io temo la crisi dei Paesi emergenti». Per quelle imprese, come il suo gruppo, che lavorano tanto all’estero, è un mal di testa in più.
Fabrizio Massaro


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