Siria, il Papa scrive ai grandi del mondo “La soluzione non può essere militare”

by Sergio Segio | 6 Settembre 2013 6:25

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CITTA’ DEL VATICANO.  Oltre la preghiera, la diplomazia per scongiurare l’attacco americano in Siria. Papa Francesco attiva tutti i canali possibili per arrivare alla pace. Dopo l’annuncio di una giornata di preghiera e digiuno indetta per domani sera in piazza San Pietro, ha preso ieri carta e penna e ha scritto direttamente al presidente russo Vladimir Putin in quanto presidente del G20 di San Pietroburgo. A lui, e ai leader mondiali, Francesco ha rivolto un «sentito appello» contro «l’inutile massacro» nel paese mediorientale, e ha chiesto di «non rimanere inerti», ribadendo che una «soluzione militare» non servirebbe a niente. Ricevuta la missiva, Putin non è stato a guardare. In scia al Papa ha messo insieme un fronte ampio: dal tradizionale alleato cinese ai Brics, dalla Ue all’Onu.
Ieri, mentre la sala stampa vaticana diffondeva il contenuto della lettera, in Vaticano venivano convocati 71 rappresentanti diplomatici accreditati presso la Santa Sede. A loro il “ministro degli Esteri” Dominique Mamberti ha esposto l’azione vaticana per la pacificazione della Siria e del Medio Oriente, e il senso della stessa veglia di domani. La volontà è di mettere in campo ogni sforzo perché la mediazione e il dialogo abbiano il sopravvento sull’odio e la guerra. In Siria vivono diverse comunità cristiane. Il Papa, informato costantemente dai nunzi apostolici a Damasco, Beirut e Amman, teme anzitutto per loro. «Troppi interessi di parte — ha scritto il Pontefice a Putin — hanno prevalso da quando è iniziato il conflitto siriano, impedendo di trovare una soluzione che evitasse l’inutile massacro a cui stiamo assistendo. I leader del G20 non rimangano inerti di fronte ai drammi che vive già da troppo tempo la cara popolazione siriana. A tutti rivolgo un appello perché abbandonino ogni vana pretesa di una soluzione militare». Parole che lasciano poco spazio a eventuali dietrologie.
«L’inutile massacro». Parole non pronunciate a caso, e che molto ricordano quella «inutile strage» evocata da Benedetto XV, al secolo Giacomo della Chiesa, in una nota del primo agosto 1917. La diplomazia vaticana è in queste ore concentrata su tre azioni principali: adoperarsi per il ripristino del dialogo fra le parti e la riconciliazione del popolo siriano; preservare l’unità del Paese e la sua integrità territoriale; dare garanzie alle minoranze. Sostiene infatti Mamberti che «non si può tacere» e che bisogna tentare di «far cessare ogni violenza», garantendo il «rispetto del diritto umanitario e l’assistenza umanitaria».
Nella giornata di ieri molto aveva fatto parlare una notizia resa nota dal quotidiano El Clarin secondo la quale Francesco nelle scorse ore avrebbe chiamato al telefono il presidente siriano Bashar el-Assad. La notizia era stata giudicata verosimile da molti media internazionali perché a firma di Sergio Rubin, biografo di Bergoglio, suo amico e autore con Francesca Ambrogetti del best seller El jesuita.
Ma El Clarin è stato smentito «categoricamente» da padre Federico Lombardi che ha detto: «Smentisco nel modo più totale la telefonata del papa ad Assad, non ha alcun fondamento».
Nella giornata di ieri sono stati i vescovi degli Stati Uniti a scrivere al presidente Obama dicendo “no” all’intervento armato in Siria. Insieme la Santa Sede ha mobilitato tutte le conferenze episcopali e le congregazioni religiose del mondo. In Belgio, ad esempio, è stato annunciato che si ritroveranno a pregare insieme cattolici e musulmani. A New York, il cardinale Timothy Dolan, capo dei vescovi del Paese, ha invitato l’osservatore della Santa Sede all’Onu, monsignor Francis Chul-likatt, a celebrare una Messa nella cattedrale di San Patrizio in contemporanea con la veglia a San Pietro. Si pregherà anche in tutto il Medio Oriente e in Egitto. Tutte le Chiese orientali hanno detto sì all’appello papale. Nel piccolo villaggio cristiano di Ma’aloula, a nord di Damasco, luogo di pellegrinaggio per cristiani e musulmani, si prega già per la pace, mentre si è sotto la minaccia diretta delle armi.

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