«Un cambio di regime non è una possibilità»

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Un cambio di regime non fermerà la guerra civile. La soluzione per la Siria è politica». È l’analisi di Fareed Zakaria, opinionista della rivista Time , presentatore sulla tv Cnn e autore di saggi come «L’Era post-americana» (2008) e «Democrazia senza libertà» (2003) tradotti in 20 lingue. Nato in India, cresciuto in America, educato a Yale e Harvard, Zakaria è uno dei più influenti esperti di politica internazionale.
Inutile un «cambio di regime?»
«Quello che gli Stati Uniti propongono è un attacco limitato per intensità e durata, inteso a segnalare che l’uso delle armi chimiche è assolutamente inaccettabile. Uno può approvare un simile intervento dal punto di vista morale, ma non cambierà la situazione di fondo in Siria, perché si tratta di uno scontro per la sopravvivenza tra il regime, da una parte, che rappresenta il 14-15% della popolazione alauita e i suoi sostenitori, e dall’altra parte una varietà di gruppi sunniti di opposizione. Entrambi combatteranno fino alla fine, perché Assad sa che, se perde ora, la prossima fase del conflitto sarà un massacro degli alauiti e forse la pulizia etnica; e i sunniti sanno che il regime vuole distruggerli. Dunque l’idea che due o tre giorni di attacchi aerei possano cambiare le cose mi pare altamente improbabile».
Crede che l’«attacco limitato» possa trasformarsi in un’azione più estesa che porti al cambio di regime, visto anche che la risoluzione in discussione al Congresso è stata emendata per introdurre l’obiettivo di rafforzare i «ribelli moderati»?
«L’amministrazione si trova davanti ad un problema: per “vendere” questo intervento ha dovuto drammatizzare la posta in gioco, ed esagerando finirà probabilmente con l’ottenere un esito più intenso di quello programmato.».
C’è in America chi vuole il cambio di regime in Siria?
«I neocon non sono mai morti, sono solo diventati estremamente impopolari. Un’opposizione siriana ispirata da idee democratiche è molto difficile da identificare. Il problema non è solo la presenza di Al Qaeda, è che ci sono un migliaio di gruppi decentralizzati, e trovare un canale per appoggiare i moderati è arduo. Il problema non è che manchino le ragioni per intervenire: Assad è un brutale assassino. Il problema è trovare una strada percorribile che, dal punto di vista pratico, abbia prospettive di successo».
E’ una strada che esiste?
«Se miriamo alla democrazia e alla convivenza pacifica tra i gruppi etnici, questa è una fantasia. Nella regione c’erano tre Paesi con una minoranza al potere: i cristiani in Libano, i sunniti in Iraq, gli alauiti in Siria. In Libano c’è stata una guerra civile di 13 anni; l’Iraq l’abbiamo invaso e dopo il rovesciamento di Saddam ci sono stati 10 anni di guerra civile ed è tuttora il secondo Paese più violento dopo la Siria. Anche in Siria, ci vorrà un bel po’. La storia ci aiuta a capire che l’obiettivo pratico può essere un negoziato politico».
Dopo i raid Usa, sarà ancora possibile riattivare la diplomazia?
«Credo che sarà più difficile. Ma se i raid restano rapidi e mirati, si può provare. In ogni caso, la chiave sono i russi e soprattutto l’Iran: senza di loro è impossibile».
Lei appoggia l’intervento in Siria dal punto di vista morale?
«A questo punto credo che gli Stati Uniti debbano agire: altrimenti è a rischio la credibilità americana».
Obama avrebbe dovuto gestire la crisi diversamente?
«Io sono sempre stato cauto sul coinvolgimento in questa guerra perché è una lotta settaria, e lo era anche due anni fa. C’è chi dice che avremmo potuto agire diversamente, che prima i ribelli erano democratici, poi sono diventati più militanti e islamisti, ma non ne sono sicuro: prima c’era una opposizione più limitata, ora si è ampliata su tutti i fronti. Obama ha cercato il dialogo con i ribelli incontrando difficoltà pratiche. Se ha commesso un errore è stato quello di usare un linguaggio incauto, in particolare sulle armi chimiche: ci sono cose che puoi dire da opinionista ma non da presidente».
Meglio non intervenire affatto?
«Bisogna essere molto cauti quando le proprie azioni non hanno grandi probabilità di cambiare la dinamica e possono anzi avere conseguenze indesiderate. Obama avrebbe dovuto cercare con più forza una soluzione politica, rapportandosi ai russi, e coinvolgendo l’Iran. Questa idea che non possiamo parlare con l’Iran è una follia. In casi come l’Afghanistan, avevamo gli stessi interessi relativi ad Al Qaeda e ai talebani, ed infatti c’è stata una certa cooperazione finché Bush non ha inserito l’Iran nell’Asse del Male. La strada in Siria non è il cambio di regime, a meno di non volerla invadere con migliaia di truppe. La soluzione è politica».
Viviana Mazza


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