by Sergio Segio | 6 Settembre 2013 5:59
CITTA’ DEL VATICANO — «Duole constatare che troppi interessi di parte hanno prevalso da quando è iniziato il conflitto siriano, impedendo di trovare una soluzione che evitasse l’inutile massacro a cui stiamo assistendo». La lettera di Francesco è indirizzata a Vladimir Putin e attraverso il presidente di turno del G20 ai grandi della Terra, a cominciare da Obama. E lo stile diplomatico non rende meno secchi e urgenti i toni del Papa: premesso che l’incontro di San Pietroburgo «non potrà fare a meno di riflettere sulla situazione in Medio Oriente e in particolare in Siria», Francesco rivolge un «sentito appello» perché i leader «abbandonino ogni vana pretesa di una soluzione militare» e «non rimangano inerti di fronte ai drammi che vive già da troppo tempo la cara popolazione siriana e che rischiano di portare nuove sofferenze alla regione», tornando a invocare «una soluzione pacifica attraverso il dialogo e il negoziato tra le parti, con il sostegno concorde della comunità internazionale».
Fin dall’Angelus drammatico di domenica scorsa – «guerra chiama guerra, violenza chiama violenza, mai più la guerra!» – Bergoglio ha deciso di agire su due fronti: da una parte il coinvolgimento delle altre religioni e di «tutti gli uomini di buona volontà», con la giornata planetaria «di digiuno e preghiera» per la pace indetta per domani e la veglia che dalle 19 guiderà a San Pietro. Dall’altra l’offensiva diplomatica per la pace «con tutti i mezzi a disposizione della Santa Sede», spiega al Corriere il cardinale argentino Leonardo Sandri, prefetto delle Chiese Orientali: «Il Santo Padre chiede di fermarsi prima che sia troppo tardi, c’è il rischio di un contagio e di un’escalation in tutta la regione mediorientale, almeno». La rete dei nunzi è al lavoro e negli Usa il cardinale Timothy Dolan, come presidente dei vescovi americani, ha mandato una lettera a Obama per chiedere «una soluzione politica», ricordando le parole contro l’intervento militare del Papa e dei «nostri fratelli vescovi sofferenti delle venerabili e antiche comunità cristiane del Medio Oriente», un’azione che «sarebbe controproducente», tanto più «in mancanza del consenso internazionale».
Ma non basta. Francesco ha voluto che ieri fosse convocato l’intero corpo diplomatico presso la Santa Sede. L’arcivescovo Dominique Mamberti, «ministro» degli Esteri e numero due della Segreteria di Stato, ha riassunto a 71 ambasciatori la posizione della Santa Sede dagli appelli al negoziato di Benedetto XVI, ricordando che la guerra in Siria ha già causato «oltre 110 mila morti, innumerevoli feriti, più di quattro milioni di sfollati interni e più di due milioni di rifugiati nei Paesi vicini» e rischia di estendersi nella regione e «avere anche conseguenze imprevedibili in varie parti del mondo». Ha parlato dell’«orrore» per «il possibile uso di armi chimiche» ed esortato i «gruppi di opposizione» a «prendere la distanze» da «estremisti» e «terrorismo». Soprattutto ha indicato tre «principi generali» per arrivare a una «giusta soluzione del conflitto»: «Ripristinare il dialogo fra le parti e la riconciliazione; preservare l’unita del Paese, evitando la costituzione di zone diverse per le varie componenti della societa; e infine garantire anche la sua integrità territoriale». L’intera Chiesa è mobilitata, anche la comunità di Sant’Egidio ha scritto ai leader del G20 indicando una «road map» per la pace. Padre Lombardi ha smentito «nel modo più totale» le voci che il Papa avesse telefonato ad Assad. Ma Francesco non si ferma, la veglia di domani avrà al centro la sua meditazione. La parola d’ordine «prayforpeace» è diventata su Twitter un hashtag rilanciato dal profilo @Pontifex, attraverso il quale il Papa ha inviato l’ottavo messaggio sulla pace di questi giorni: «Con tutta la mia forza, chiedo alle parti in conflitto di non chiudersi nei propri interessi».
Gian Guido Vecchi
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