by Sergio Segio | 4 Settembre 2013 6:43
SAN PIETROBURGO – L’Italia è l’unico paese del G7 ancora in recessione con una previsione di calo del Prodotto dell’1,8% nel 2013. Lo si sapeva già, ma il fatto che l’Ocse, l’organismo che riunisce i paesi più industrializzati, lo abbia ribadito ieri fa effetto. Tanto più che nel loro rapporto gli economisti parigini sottolineano gli elevati rischi che continuano a pesare sulla «ripresa moderata» dell’Europa e rilanciano gli allarmi sulla disoccupazione che potrebbe «diventare strutturale anche in presenza di un riavvio della crescita, provocando tensioni sociali». Alla vigilia della riunione dei capi di Stato e di Governo dei 20 paesi più ricchi del mondo che ha in cima alla sua agenda – non considerando il confronto sulle tensioni geopolitiche – il problema di sostenere la crescita ancora squilibrata a livello globale, l’Ocse conferma l’urgenza dei temi del lavoro che nel corso del vertice di San Pietroburgo saranno discussi in una apposita sessione.
L’Italia dunque è ancora in affanno rispetto a Germania, Francia, Gran Bretagna, Usa, Giappone e Canada, (che nel 2013 dovrebbero registrare un Prodotto in aumento rispettivamente dello 0,7%, dello 0,3%, dell’1,5%, dell’1,7% dell’1,6% e del 2%) ma «il miglioramento è in atto», ha osservato il capo economista dell’Ocse, Giancarlo Padoan. «Non ci siamo ancora, ma ci saremo presto», ha aggiunto. «Le stime riportate nella nostra valutazione (-0,4% per il terzo trimestre e -0,3% per il quarto) appaiono ancora negative perché si tratta di raffronti su base annualizzata ma i numeri positivi stanno arrivando o pensiamo che arriveranno molto presto», ha quindi spiegato Padoan a Radiocor. Il problema per l’Italia, ma anche per gli altri paesi, è se tale ripresa significherà anche un riavvio delle assunzioni. Se cioè assieme al Pil torneranno a crescere anche i posti di lavoro. Perché ciò avvenga, ha suggerito ancora Padoan, «occorre assecondare il miglioramento dell’economia con interventi sul mercato occupazionale, da una parte con l’accelerazione e la messa in atto delle riforme già varate e dall’altro con interventi che aumentino l’incentivo per le imprese ad assumere i giovani, magari anche usando strumenti contrattuali di tipo temporaneo all’inizio per poi renderli permanenti».
L’Ocse comunque ritiene che occorra diminuire, per quanto possibile, il cuneo fiscale, alleggerendo gli oneri sulle imprese.
Nel complesso, in ogni caso, secondo l’organizzazione parigina, l’Italia non appare più, così come lo era due anni fa con la Spagna, uno dei focolai principali della crisi. «In tutti i paesi periferici si sono fatti passi in avanti molto importanti, anche in tema di finanza pubblica, che i mercati stanno recependo».
Secondo l’Ocse comunque, come ha detto il vicecapo economista dell’organizzazione parigina, Jorgen Elmeskov sulla lenta uscita del nostro paese dalla recessione «ci sono una serie di cose che potrebbero succedere» e di cui non si può rendere conto nelle cifre, come «il rischio politico» legato all’attuale instabilità della maggioranza che sostiene il governo ma anche le tensioni dell’area euro che «rimane vulnerabile alle rinnovate tensioni finanziarie, bancarie e del debito sovrano». Molte banche – ma non le italiane che, ha detto Padoan, stanno lentamente migliorando ma che devono essere più disponibili a fornire credito all’economia – non sono infatti «sufficientemente capitalizzate e gravate da cattivi prestiti».
Stefania Tamburello
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