I leader del Congresso con Obama Ma l’Onu: «Prima la risoluzione»

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WASHINGTON — Un test che ha preso la temperatura alla regione e ha rappresentato un segnale di quello che potrebbe accadere. Ieri mattina, i radar russi hanno segnalato il «lancio di due ordigni balistici» dal Mediterraneo orientale verso la Siria e poi caduti in acqua. Allarme seguito da smentite generali quanto laconiche. Poi un comunicato da Israele ha confermato: si è trattato di una prova del sistema anti-missile svolto in collaborazione con gli Usa. Precisazione americana: noi non c’entriamo. Risposta pignola da Gerusalemme sull’iniziativa «congiunta» con gli Stati Uniti. Gli israeliani avrebbe sparato da un caccia un missile che simula le prestazioni di ordigni balistici identici a quelli in possesso dei suoi avversari. Un lancio per misurare la capacità dell’Arrow, apparato costruito insieme agli Usa e destinato a intercettare missili terra-terra. Risvolti tecnici di un episodio che si sommano ad altri: un monito di Israele a Siria e Iran, la prontezza dei sistemi d’allarme russi (in passato non sempre all’altezza), le dinamiche intrecciate nella Regione.
I lampi sul mare hanno fatto da anteprima ad una giornata intensa, con altri annunci sulla crisi siriana. Barack Obama si è incontrato con rappresentanti del Congresso ottenendo la promessa di un sì all’opzione militare. Lo hanno dichiarato apertamente i capi della maggioranza repubblicana, Boehner e Cantor, così come la democratica Nancy Pelosi. Il presidente, per la centesima volta, ha assicurato che si tratterà di un attacco «mirato e proporzionato» in quanto «questo non è l’Afghanistan». La Casa Bianca ha anche sostenuto che gli americani forniranno armi contro-carro ai ribelli, spedizioni promesse in passato e mai completate. L’intesa potrebbe aprire la via ad un voto «rapido» del Congresso anche se alcuni deputati democratici hanno proposto dei paletti per «contenere» l’intervento.
Le manovre a Washington alla vigilia della partenza di Obama per il G20 a San Pietroburgo sono state seguite con apprensione all’Onu. Il segretario generale Ban Ki-moon ha da un lato denunciato il possibile uso delle armi chimiche («un oltraggioso crimine di guerra») ma nel contempo ha messo in guardia sul lanciare attacchi «perché potrebbe aggravare la situazione», «senza l’ok del Consiglio di sicurezza l’intervento sarebbe illegale». Timori politici che si riflettono in una situazione umanitaria già disperata. Un numero, oltre ai 110 mila morti, sottolinea la gravità del conflitto: per le Nazioni Unite i profughi siriani costretti a stabilirsi nei Paesi vicini sono 2 milioni, circa il 10 per cento dell’intera popolazione, e altri 4 milioni sono sfollati all’interno dei confini. Una situazione drammatica, aiutarli è sempre più difficile.
A chiudere un possibile sviluppo interessante. I ribelli hanno annunciato che Abdeltawwab Shahrour, capo del comitato di medicina legale di Aleppo, è fuggito in Turchia con nuove informazioni sull’impiego dei gas durante il mese di aprile. Era prevista una conferenza stampa a Istanbul, ma è stata annullata all’ultimo momento «per motivi di sicurezza». Il nome di Shahrour era emerso per la prima volta il 18 giugno quando gli insorti ne avevano annunciato la cattura ad Aleppo. È stato davvero preso prigioniero o si trattava di una versione per coprirne la fuga? Secondo l’opposizione il funzionario avrebbe in mano le prove che il regime ha colpito i civili con armi proibite. Aspettiamo di vederle.
Guido Olimpio


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