Nel duello della noia vince Merkel L’Spd non trova la «chiave» giusta
BERLINO. Nessuna sorpresa. Il confronto tv di domenica sera fra la cancelliera democristiana Angela Merkel e lo sfidante socialdemocratico Peer Steinbrück è finito con un pareggio. Secondo il primo sondaggio effettuato dalla società infratest per il canale Ard subito dopo la fine del dibattito, il candidato della Spd avrebbe convinto più telespettatori della leader Cdu: 49% contro 44%. Uno scarto percettibile ma non di una grandezza tale da poter essere considerato davvero significativo. Peraltro, altri rilevamenti di opinione, diffusi da reti televisive diverse, hanno dato risultati esattamente ribaltati: Merkel leggermente preferita a Steinbrück. E che di un pareggio si sia trattato sono convinti anche i commentatori che ieri hanno analizzato il Kanzlerduell sui principali quotidiani tedeschi.
La cancelliera è stata più didascalica, l’ex ministro delle finanze più rapido e diretto; l’una più sorridente, l’altro con l’espressione facciale più rigida. Molto fair play, niente colpi ad effetto, nessuna gaffe clamorosa. Il socialdemocratico doveva attaccare, partendo in netto svantaggio: e così ha fatto. Ma senza impensierire veramente l’avversaria, tranne forse per un momento sul caso dello spionaggio americano svelato da Edward Snowden. Sul tema-chiave della campagna elettorale, l’economia tedesca ed europea, si è ripetuto un copione già visto: Steinbrück ha denunciato la politica di austerità e Merkel ha tranquillamente risposto che la Spd ha votato tutte le misure anti-crisi insieme alla sua maggioranza democristiano-liberale.
Per rappresentare un’alternativa, per riuscire a mobilitare indecisi, delusi e confusi, i socialdemocratici avrebbero bisogno di un’autentica «narrazione» della crisi diversa da quella della cancelliera. Che non hanno. Indubbiamente, però, le idee non sono le stesse: Steinbrück ha parlato di una politica orientata alla crescita e ha proposto un «piano Marshall» per il sud Europa. Ma non è mai riuscito a trasmettere davvero l’importanza della posta in gioco nella crisi dei debiti sovrani, e non ha messo a sufficienza in relazione la situazione interna con quella europea, mostrando ad esempio la connessione fra i salari bassi dei lavoratori tedeschi e il modello economico orientato all’esportazione di merci e capitali.
Merkel ha avuto gioco facile nel mettere in imbarazzo lo sfidante sulle «riforme» fatte nel passato dall’esecutivo Spd-Verdi guidato da Gerhard Schröder: la cosiddetta «Agenda 2010». La cancelliera ha lodato l’opera dell’ex cancelliere «riformista», costringendo Steinbrück ad un difficile equilibrismo: rivendicare il lavoro fatto da Schröder (riduzioni delle tasse ai ricchi, introduzione del lavoro flessibile, tagli al welfare) e, al tempo stesso, proporre ora l’esatto contrario. E proprio questo camminare sulla fune rappresenta il principale problema di credibilità che impedisce alla Spd di risalire la china – nella politica federale – dopo la sconfitta clamorosa del 2009 (-11,2% rispetto al 2005).
Come c’era da attendersi, i quattro moderatori hanno sollecitato i due candidati sul tema delle possibili alleanze dopo il voto, ricevendo risposte altrettanto scontate: Merkel ha ribadito la volontà di continuare il lavoro con i liberali della Fdp e Steinbrück l’intenzione di dare vita ad un governo social-ecologista insieme ai Grünen. Tutti sanno, però, che la vera scelta è un’altra: grosse Koalition oppure no. Se gli attuali alleati della cancelliera non dovessero superare la soglia di sbarramento del 5%, la Spd dovrebbe decidere se diventare il partner minore di una «grande coalizione» con la Cdu, oppure il socio di maggioranza di un esecutivo con Verdi e Linke: gli ambientalisti, da soli, non bastano.
Domenica sera Steinbrück ha liquidato i social-comunisti come «inaffidabili» mentre sull’ipotesi del patto con i democristiani si è limitato a dire di non essere «personalmente» interessato a prendere parte a un esecutivo guidato da Merkel: o cancelliere o niente. Una posizione obbligata per non dare l’impressione di considerare già persa la partita, ma che lascia aperta la possibilità – se i numeri obbligheranno – a un governo Cdu-Spd dopo il voto del 22 settembre.
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