Irpef più cara per 6 milioni di italiani pagheranno 200 euro in più all’anno

by Sergio Segio | 2 Settembre 2013 7:27

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ROMA — Meno Imu, più Irpef. Per cancellare l’imposta sulla casa (per ora solo la prima rata), il governo farà salire quella sui redditi. Almeno per 6 milioni e 300 mila italiani che pagheranno 125 euro in più di Irpef sul 2013. E ben 201 euro sul 2014. Un salasso inatteso che sconfessa la filosofia “
tax free”, sbandierata in conferenza stampa da Letta e Alfano. «La copertura del decreto Imu è stata gestita senza alzare le tasse», aveva detto il premier. «È un provvedimento tax free che non porta altre tasse», si esaltava il suo vice. Così non è. Purtroppo. E a rimetterci sarà soprattutto il ceto medio, visto che la maggior parte di questi italiani, tartassati a sorpresa, ovvero il 90% di quei 6,3 milioni di contribuenti, è sotto i 55 mila euro lordi annui. E il 54% sotto i 26 mila euro. Tra loro, quattro milioni di lavoratori dipendenti e un milione e 300 mila pensionati.
L’ARTICOLO 12
Il guaio è nascosto nell’articolo 12 del decreto Imu, in vigore da sabato scorso. Lì si dimezza per quest’anno «il limite massimo di fruizione» per detrarre dall’Irpef il 19% dei premi di assicurazione sulla vita, contro gli infortuni e la non autosufficienza. Se fino ad oggi quel tetto era di 1.291 euro, per il 2013 diventa 630 euro. E addirittura 230 euro dal 2014 in poi. Appena un quinto. Tra l’altro l’operazione è ancora una volta retroattiva e dunque in violazione dello Statuto del Contribuente, una legge dello Stato che impone la valenza solo per il futuro delle norme fiscali. Che cosa significa in concreto? Se fino a pochi mesi fa – nella dichiarazione dei redditi di maggio – al rigo E12 del 730 si poteva “scalare” dall’imposta sui redditi un massimo di 245 euro (il 19% del vecchio tetto), dal prossimo maggio quel rigo potrà contenere al più 120 euro. E dal 2015 appena 44 euro. Con la conseguente impennata dell’Irpef.
CHI CI RIMETTE
Secondo gli ultimi dati disponibili, quelli delle dichiarazioni 2012 (dunque riferite ai redditi 2011), oltre sei milioni di italiani usufruiscono di questo vantaggio fiscale che costa allo Stato 685 milioni l’anno. Per di più vivono al Centro-Nord, oltre un milione nella sola Lombardia, mezzo milione ciascuno in Piemonte e Lazio. Un bonus che Vieri Ceriani – ex sottosegretario all’Economia con Monti e ora ascoltatissimo consigliere di Saccomanni – inseriva tra le “misure a rilevanza sociale” nell’ormai famoso Rapporto sull’erosione fiscale del 2011. «L’agevolazione esiste perché riduce l’intervento del welfare pubblico», conferma Dario Focarelli, direttore generale dell’Ania (assicurazioni). «Un domani, dovesse succederti qualcosa, peserai di meno sulle casse pubbliche. Ma l’effetto di questa norma, che giudichiamo estremamente negativa, si abbatterà soprattutto su chi vuole assicurarsi, sui cittadini ». Su 65 miliardi totale di premi, il ramo della protezione ne vale 4. E chi vi ricorre lo fa non tanto come opzione di risparmio (in passato era così), quanto proprio per lasciare un capitale ai propri cari in caso di morte, infortunio o handicap grave. È vero che spesso questi prodotti sono abbinati alla previdenza integrativa. Ma ne sono del tutto svincolati e scelti a prescindere.
IL NODO COPERTURE
Il problema ora è tutto politico. Il bilancio dello Stato è veramente al limite. Lo si è visto nel tira e molla dei giorni scorsi sulle coperture al decreto Imu. Alla fine, per non spaventare Bruxelles e assicurare che il 3% del rapporto tra deficit e Pil non sarà valicato ancora, il governo ha pure messo una clausola di salvaguardia con il possibile aumento di acconti delle imprese (Ires e Irap) e delle accise (benzina inclusa). Il taglio alle detrazioni sulle polizze vale moltissimo: 458 milioni nel 2014, 661 milioni nel 2015, 490 milioni dal 2016. Un’enormità. Non facile da rimpiazzare. Se ne riparlerà durante l’iter di conversione parlamentare del decreto. Ieri il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha ammesso che i tagli ai conti pubblici sono recessivi, eppure hanno «contribuito a evitare scenari peggiori, a contenere e ridurre gli spread e a scongiurare nuove crisi di liquidità». Ma poi ha aggiunto che non saranno «permanentemente restrittivi». Non saranno cioè perenni.

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