«Guerra chiama guerra» E il Papa proclama un giorno di digiuno
CITTÀ DEL VATICANO — S’affaccia alla finestra e dice «buongiorno», come sempre, ma stavolta non sorride. L’Angelus più drammatico del suo pontificato, «pensiamo: quanti bambini non potranno vedere la luce del futuro!», è un testo che Francesco ha passato il sabato a limare dopo aver convocato un incontro «collegiale» con i vertici della diplomazia vaticana per stabilire una linea d’azione sulla Siria. Parole che tengono insieme l’orrore per la guerra in corso e il no della Chiesa all’intervento meditato dagli Usa: «Il mio cuore è particolarmente ferito da quello che sta accadendo in Siria e angosciato per i drammatici sviluppi che si prospettano». Il Papa esorta la comunità internazionale a promuovere «il dialogo e il negoziato» e annuncia un’iniziativa planetaria che richiama lo spirito di Assisi ma è senza precedenti: una giornata «di digiuno e preghiera per la pace in Siria, nel Medio Oriente e nel mondo intero», sabato prossimo, alla quale Francesco invita ad «unirsi, nel modo che riterranno più opportuno» anche gli altri cristiani, i fedeli di altre religioni e pure «quei fratelli e sorelle che non credono», perché «la pace è un bene di tutta l’umanità che supera ogni barriera». Tutte le chiese del mondo sono mobilitate, il 7 settembre lo stesso Papa guiderà la preghiera in San Pietro dalle 19 a mezzanotte, «l’umanità ha bisogno di vedere gesti di pace e sentire parole di speranza e di pace!».
Così Francesco ripete due volte lo storico «mai più la guerra!» di Paolo VI all’Onu, il 4 ottobre 1965, quel «grido della pace» fatto proprio da Giovanni Paolo II nel 2003, secondo conflitto del Golfo. Ricorda «la devastazione e il dolore» specie ai danni «della popolazione civile e inerme» e scandisce: «Con particolare fermezza condanno l’uso delle armi chimiche! Vi dico che ho ancora fisse nella mente e nel cuore le terribili immagini dei giorni scorsi…». Quindi agita la mano destra e sillaba: «C’e? un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può?sfuggire! Non è mai l’uso della violenza che porta alla pace. Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza!». Parla da leader globale, Bergoglio. «Con tutta la mia forza, chiedo alle parti in conflitto di ascoltare la voce della propria coscienza, di non chiudersi nei propri interessi, ma di guardare all’altro come ad un fratello e di intraprendere con coraggio e decisione la via dell’incontro e del negoziato, superando la cieca contrapposizione». Alla comunità internazionale, oltre a «iniziative chiare di pace», chiede che «non sia risparmiato alcuno sforzo per garantire assistenza umanitaria» agli sfollati.
Il «grido della pace» sale «con angoscia crescente» da «ogni parte della terra, da quell’unica grande famiglia che è l’umanità». E il Papa ha deciso di muoversi in due direzioni: oltre all’iniziativa di sabato, ha mobilitato tutti i canali diplomatici. In Vaticano si ricorda che, dopo le polemiche su Ratisbona, Ratzinger fece convocare gli ambasciatori. Ci saranno altre iniziative. Non si esclude che il Papa nomini suoi «inviati» speciali come Wojtyla fece nel 2003 mandando i cardinali Etchegaray a Bagdad e Laghi da Bush. Ma per ora si procede con la rete delle nunziature. Proprio quest’anno la Chiesa celebra la «Pacem in Terris» che Giovanni XXIII scrisse nel ‘63 per la crisi del missili a Cuba: «Nell’era atomica è irrazionale (alienum est a ratione ) pensare che la guerra possa essere utilizzata come strumento di riparazione dei diritti violati».
Gian Guido Vecchi
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